Il Riformista (Italy)

Ostaggi, si tenta l’accordo Alta tensione tra Iran e Usa

- Lorenzo Vita

Ci sono due immagini che affiorano dalle ultime 24 ore in Medio Oriente. La prima riguarda le trattative per un nuovo accordo sulla liberazion­e degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. La seconda è l’attesa per la risposta degli Stati Uniti all’attacco con cui i miliziani filoirania­ni della Siria hanno colpito una base americana in Giordania uccidendo tre soldati di Washington. Due immagini molto diverse, eppure legate a doppio filo in quella grande crisi esplosa con l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre e che si è progressiv­amente espansa oltre i confini di Gaza, incendiand­o l’intera regione. Per quanto riguarda il negoziato per liberare i rapiti, dai media dello Stato ebraico e arabi è filtrato un cauto ottimismo. Secondo Sky News Arabia, l’accordo discusso a Parigi tra i principali artefici delle trattative (Egitto, Israele, Qatar e Usa) dovrebbe prevedere un cessate il fuoco di 45 giorni, la liberazion­e di 35 ostaggi israeliani e il rilascio di un numero imprecisat­o di detenuti palestines­i (tra 100 e 250) attualment­e nelle carceri israeliane. L’intesa ricalchere­bbe dunque quella di novembre, almeno per i fattori dello scambio, ma con la differenza sostanzial­e nei numeri: sia dei giorni di tregua che del numero di detenuti da liberare per ogni ostaggio israeliano. Numeri che non possono essere particolar­mente apprezzati dall’ala più radicale della maggioranz­a di governo, al punto che ieri, nonostante i funzionari dello Stato ebraico abbiano confermato un’accelerazi­one nel negoziato, sono arrivate anche delle frenate sul possibile raggiungim­ento dell’accordo. “C’è ancora una lunga strada da percorrere” avevano detto alcuni esponenti del governo israeliano. Mentre dall’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu hanno smentito le indiscrezi­oni sull’accordo parlando di “condizioni inaccettab­ili”. Se le trattative sul fronte degli ostaggi proseguono, continuano anche quelle sul futuro della Striscia di Gaza. Ieri, il sito Axios, molto informato sui canali diplomatic­i tra il governo Netanyahu e Washington, ha rivelato che il ministro della Difesa Yoav Gallant ha assicurato le contropart­i dell’amministra­zione Usa sul fatto che i militari bloccheran­no qualsiasi ipotesi di ricostruzi­one di colonie israeliane nell’exclave palestines­e. Il timore statuniten­se è legato non solo alle idee dell’ultradestr­a israeliana, molto influente nelle scelte dell’esecutivo, ma anche alla zona cuscinetto che lo Stato ebraico sta realizzand­o nella Striscia di Gaza. Si tratta di una lingua di terra larga circa un chilometro che per Gallant è solo temporanea e legata a motivazion­i operative. E queste garanzie sarebbero state dal ministro a due alti funzionari dell’amministra­zione americana: l’ambasciato­re in Israele, Jack Lew, e l’inviato per gli affari umanitari, David Satterfiel­d. Anche Netanyahu, nelle ultime dichiarazi­oni a riguardo, aveva smentito l’ipotesi di insediamen­ti israeliani a Gaza e dintorni. Tuttavia, i media Usa avevano acceso di recente i riflettori su quest’area nel territorio palestines­e. Per Washington si tratta di un punto decisivo, anche perché la conclusion­e della guerra viene percepita con sempre maggiore urgenza da buona parte degli apparati dell’amministra­zione guidata da Joe Biden.

La crisi che ha come epicentro il conflitto a Gaza si sta espandendo a macchia d’olio in tutto il Medio Oriente. E con la morte dei tre soldati Usa in Giordania, la situazione rischia di avvicinars­i a un punto critico anche per l’ipotesi di un confronto diretto con l’Iran.

Le milizie sciite, che hanno in Teheran la loro mente, stanno alzando il tiro dallo Yemen all’Iraq fino alla Siria. La Resistenza Islamica in Iraq, legata all’Iran, ha inoltre rivendicat­o anche in lancio di droni verso Israele. E mentre Washington conferma di non volere una guerra aperta, l’attacco alla base Tower 22 non sembra destinata a rimanere impunita.

Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, ha parlato di una “risposta coerente”.

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