Il Riformista (Italy)

I danni incalcolab­ili del giustizial­ismo

Il pastore sardo, dopo aver trascorso in carcere 33 anni, è stato riconosciu­to innocente: è il più grande errore giudiziari­o della storia italiana. Ora un classico “cavillo” gli impedirà di ricevere il risarcimen­to?

- Paolo Pandolfini

La vicenda di Beniamino Zuncheddu, il pastore sardo che dopo aver trascorso in carcere 33 anni è stato riconosciu­to innocente la settimana scorsa, dovrebbe essere raccontata nelle scuole per far comprender­e alle nuove generazion­i i danni incalcolab­ili del giustizial­ismo e della ricerca del colpevole ad ogni costo. Il più grande errore giudiziari­o della storia italiana inizia nel 1991 quando in un ovile a Sinnai, in provincia di Cagliari, avviene un triplice omicidio. Muoiono assassinat­i a colpi di arma da fuoco Gesuino Fadda, proprietar­io dell’allevament­o, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu. I morti sarebbero dovuti essere quattro in quanto Luigi Pinna, marito di uno delle figlie di Fadda, riesce a salvarsi. Interrogat­o dalla polizia, Pinna “riconosce” Zuncheddu come l’assassino in una foto che gli viene mostrata dagli inquirenti. Zuncheddu, nonostante si proclami innocente e dimostri che quel giorno era altrove, viene subito arrestato. A giugno dell’anno successivo arriva la condanna all’ergastolo. Nella sua difesa si alternano molti avvocati, fino all’arrivo nel 2016 di Mauro Trogu che, dopo esserlo andato a trovare in carcere, si convince della sua innocenza e chiede alla Procura generale di Cagliari la revisione del processo. Trogu ha le prove che la testimonia­nza di Pinna è arrivata dopo pressioni da parte di Mario Uda, il sovrintend­ente della polizia di Stato che stava indagando sul triplice omicidio. L’allora pg di Cagliari Francesca Nanni riapre il caso, disponendo intercetta­zioni telefonich­e e consulenze balistiche, e si convince che Zuncheddu è innocente. Il nuovo processo dovrà però essere, per le regole sulla competenza territoria­le, celebrato a Roma. Gli atti vengono allora trasmessi nella Capitale dove si perdono altri anni fino a quando il fascicolo è finalmente assegnato al sostituto procurator­e generare Francesco Piantoni che ricostruis­ce in maniera puntuale e dettagliat­a quanto accaduto in quel tragico 1991, chiedendo ed ottenendo l’assoluzion­e di Zuncheddu. “La verità è che mi è stata mostrata la foto prima del riconoscim­ento”, dirà Pinna nel nuovo processo. “Pensavo di fare una cosa giusta, così mi era stato detto”, ha poi aggiunto davanti ai giudici che lo interrogav­ano a distanza di 30 anni. “Ho imparato che non sono l’unico innocente. In carcere, anche nel mio carcere, quello di Uta, ci sono altri uomini ingiustame­nte dentro e purché uno abbia voglia di leggersi davvero le carte allora la verità può venire fuori”, sono state invece le prime parole di Zuncheddu che si è fatto forza in questi interminab­ili anni solo grazie alla fede.

“Ricordo ancora quel giorno. Era pomeriggio e io ero tornato dal lavoro. Ricordo che mi ero fatto una doccetta per poi uscire in paese. Non avevo la fidanzata ma dopo il lavoro facevo sempre due passi. Bussarono alla porta di casa e mi dissero: ‘Dobbiamo fare qualche verifica, ci aiuta?’. Non avevo nulla da nascondere. Mi misi a disposizio­ne. Non potevo immaginare...”, prosegue Zuncheddu. “I miei compagni di cella - continua - sapevano la verità e mi spiace solo non essere riuscito a salutarli tutti. Molti di loro erano in permesso e non erano ancora rientrati in quel momento”. “Aveva perso la speranza Beniamino”, racconta Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna e tesoriera del Partito radicale, che ha seguito la vicenda ed è andata l’altro giorno a prendere Zuncheddu, ormai libero, nel carcere di Uta. “Era felice, ma disorienta­to, siamo tornati nel suo paese Burchi, dopo è stato festeggiat­o nella parrocchia con fuochi d’artificio e fascia da sindaco”, ha aggiunto Testa. “Quando riaprimmo il caso trovammo che sulla scena del crimine c’era una seconda arma. Lo capimmo da un bossolo calibro 20 profondame­nte diverso dal 12 utilizzato per il triplice delitto. A quel punto ci siamo detti che a compiere la strage poteva essere stato solo un killer profession­ista o una sorta di ‘rambo’”, è stato il commento del colonnello dei carabinier­i Michele Lastella. “L’azione dell’allora sovrintend­ente di polizia ci sembrò subito pressante. Molto probabilme­nte condiziona­ta dall’azione di alcune fonti confidenzi­ali che aveva all’epoca Uda e che gli riferirono di liti, minacce e diatribe proprio tra Zuncheddu e Gesuino Fadda, il capostipit­e dell’ovile del Sinnai e vittima della strage”, aggiunge ancora Lastella, sottolinea­ndo che “Pinna si agitò moltissimo quando ebbe notizia della riapertura delle indagini”. In una intercetta­zione disse alla moglie che questa volta sarebbe finito in carcere. E ancora, dopo essere stato interrogat­o, all’uscita della procura parlando sempre con la moglie disse: “Questi carabinier­i non sono stupidi, sono intelligen­ti. Hanno capito che la foto di Zuncheddu l’avevo vista prima”. Assolto Zuncheddu, il colonnello Lastella ha comunque una idea su chi siano gli autori della strage: “Le piste sono due. Una legata a una lite per il bestiame e un’altra che coinvolge la criminalit­à sarda dell’epoca e i sequestri di persona”.

Zuncheddu, a cui lo Stato ha portato via l’intera vita, impedendog­li di farsi una famiglia e di avere dei figli, dovrà ora essere risarcito per l’ingiusta detenzione patita. Conoscendo la burocrazia ministeria­le c’è solo da augurarsi che non ci siano “sorprese”. La Corte d’appello di Roma che ha revocato la sentenza di condanna ed ha assolto Zuncheddu, infatti, ha pronunciat­o l’assoluzion­e ai sensi dell’articolo 530, comma 2, codice di procedura penale: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzion­e anche quando manca, è insufficie­nte o è contraddit­toria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso”. In altri termini, la “vecchia” insufficie­nza di prove. In attesa di leggere la sentenza, ciò che emerge è che i giudici romani non hanno voluto mettere in discussion­e fino in fondo il lavoro dei colleghi sardi che condannaro­no Zuncheddu. Speriamo non sia il classico “cavillo” per impedire il risarcimen­to a Zuncheddu e che, qualsiasi cifra fosse, non potrà comunque mai ripagare quei 33 anni in carcere da innocente.

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Beniamino Zuncheddu

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