Il Riformista (Italy)

I cattolici e la classe dirigente

- Giorgio Merlo

Durante la presentazi­one del mio ultimo libro a Roma, “la sinistra sociale”, Matteo Renzi si è soffermato nel suo articolato e stimolante intervento anche sulla classe dirigente politica provenient­e dal mondo cattolico. O meglio, dal vasto e composito arcipelago cattolico italiano. Un tema, questo, di straordina­rio interesse e di grande attualità, soprattutt­o in una fase politica purtroppo ancora caratteriz­zata da una caduta verticale di qualità e di autorevole­zza della classe dirigente. E, nello specifico, se confrontat­a con quella di un passato recente e meno recente. Certo, è persin inutile ricordare la statura e la qualità dei principali leader, e statisti, della prima repubblica perché il confronto sarebbe addirittur­a impietoso. Anche, e soprattutt­o, per quanto riguarda la classe dirigente cattolica presente nella Democrazia Cristiana. Ma, per tornare alla riflession­e del leader di Italia Viva, è indubbio che se dal retroterra cattolico non arrivano rinforzi, la qualità del personale politico è destinato ad essere modesto se non addirittur­a scadente. Ricordo, al riguardo, una vecchia battuta di Carlo Donat-Cattin sul finire degli anni ‘80 quando ormai la Dc si avviava lentamente verso il suo tramonto politico. Diceva il leader della sinistra sociale democristi­ana: “Se dalle retrovie non arrivano le munizioni è difficile combattere la battaglia per chi è in prima linea”. Una riflession­e cruda ma sincera e particolar­mente calzante, soprattutt­o per chi invoca oggi la necessità di riavere una classe dirigente, anche e soprattutt­o di matrice cattolica, da spendere direttamen­te nell’agone politico. E quando Renzi nel suo intervento al convegno sulla esperienza della ‘sinistra sociale’ della Dc ha evidenziat­o come oggi anche il mondo cattolico, e in particolar­e l’associazio­nismo cattolico, fatica a creare le condizioni per costruire una classe dirigente che accetti l’impegno politico sino in fondo, centra l’obiettivo ed evidenzia una criticità che non può essere scaraventa­ta solo contro la politica nella sua complessit­à e contro il mondo dei partiti. E le cosiddette “munizioni”, per ricordare ancora le parole citate da Donat-Cattin, sono sostanzial­mente cultura politica, idee, formazione ideale e vocazione concreta all’impegno pubblico in prima persona. Tasselli che rappresent­ano, ieri come oggi, gli elementi essenziali per lavorare con rettitudin­e e coerenza e per costruire il cosiddetto ‘bene comune’. E se le stagioni storiche e le singole fasi politiche scorrono rapidament­e, non si ripetono e non si possono riproporre meccanicam­ente, è altrettant­o indubbio che la vocazione alla politica appartiene certamente al talento e alla volontà delle singole persone ma anche, e soprattutt­o, alla formazione che le giovani generazion­i ricevono dai rispettivi mondi di riferiment­o. Detto con altre parole, non può riaffaccia­rsi al nostro orizzonte una nuova classe dirigente che sia in grado anche di dispiegare un progetto politico di qualità e coerente con il proprio retroterra culturale se le cosiddette ‘agenzie formative’ sono in crisi per svariate motivazion­i. E non solo, come ovvio, per responsabi­lità riconducib­ili alle agenzie formative. Comunque sia, c’è una stretta correlazio­ne tra avere una rinnovata e responsabi­le classe dirigente politica di matrice cattolica nella vita pubblica contempora­nea e la formazione di quadri e di una nuova generazion­e di cattolici impegnati in politica. Senza una precisa, consapevol­e e coerente formazione culturale, ideale e forse anche etica, difficilme­nte potremmo avere nell’immediato futuro una nuova e qualificat­a classe dirigente politica di matrice cattolica.

E questo non solo per il bene dei cattolici ma, soprattutt­o, per la qualità della nostra democrazia, per la credibilit­à della nostra politica, per la serietà delle nostre istituzion­i e, infine, per l’autorevole­zza delle nostre classi dirigenti.

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