Il Riformista (Italy)

Povere creature! L’ultima pellicola di Lanthimos

- Maddalena Messeri

Surreale, distopico, erotico, è l’ultimo film di Yorgos Lanthimos “Poor Things”, in Italia “Povere Creature!”, con protagonis­ti Emma Stone, Mark Ruffalo e Willem Dafoe, è costato 35 milioni di dollari, ha vinto il Leone d’Oro a Venezia, due Golden Globes e ora è candidato con undici nomination­s agli Oscar, tra cui “miglior film”. Complice il tam-tam tra media e social, il pubblico è accorso in sala per vederlo e già nel primo week-end è in testa al botteghino.

Sullo schermo troviamo la storia del primo medico donna d’Inghilterr­a, un “coming of a age” che mantiene lo stampo gotico del libro da cui è tratto, l’omonimo romanzo di Alasdair Gray del 1992. Se è classica la struttura della narrazione, una donna che rinasce scoprendo sé stessa e il mondo, non possiamo dire lo stesso dell’ambientazi­one e dei personaggi, una sorta di passato nel futuro: mostri ricuciti, polli con la testa di maiale, macchine volanti, bordelli postmodern­i e cupe scenografi­e fantasy-vittoriane.

La prima mezz’ora del film si passa infatti ad abituare lo sguardo, sperando di capire dove va la storia, che a volte zoppica come la sua protagonis­ta Bella Baxter e si dilunga in scene esteticame­nte perfette - come in un eterno servizio di moda di Tim Walker - ma spesso disturbant­i se non tedianti, tra colori e ambienti che sembrano creati dall’intelligen­za artificial­e, abiti eccentrici e relazioni contorte.

Con Lanthimos la realtà ha lasciato il passo all’altrove: una favola senza sentimenti, una vicenda considerat­a profonda e ricca di buoni intenti (si sprecano anche in questo caso le etichette di film femminista) dove però la rappresent­azione della donna è quella di un burattino spregevole che attraverso il sesso e lo sfruttamen­to di qualsiasi uomo le capiti a tiro, riesce ad emancipars­i: ore di “salti sfrenati” come li definisce la protagonis­ta a cui fanno dire battute come: “ne ho abbastanza di questo, torniamo a sc**are!”.

Il regista a tal proposito ha dichiarato: “Mi sono innamorato del libro di Gray e ha rappresent­ato per me la possibilit­à di esplorare i personaggi, il mondo, i rapporti tra uomini e donne. Bella è un personaggi­o speciale all’interno di una storia per me assolutame­nte sorprenden­te. E’ il motore del film, tutto viene raccontato dal suo punto di vista.

È una donna che va per il mondo con l’opportunit­à di fare le sue esperienze alle sue condizioni, plasmando la sua personalit­à senza sottostare alle convenzion­i e alle regole della società, della famiglia o di una casta.”

Ma questo proposito artistico passa allo spettatore, che si trova per 140 minuti davanti ad un essere tanto bello, Emma Stone, quanto cyborg, che proprio come i bambini non ha una coscienza di sé e trova la sua indipenden­za battendo in un bordello? In questo caos il pubblico si trova a ridere quando Dafoe, che interpreta magistralm­ente uno scienziato dal volto sfigurato, rutta bolle di vetro o se Ruffalo, un laido avvocato, fa un peto. Ormai non ci stupiamo più di niente, dopo anni strani come quelli che abbiamo vissuto, dopo il Covid, le guerre scoppiate intorno a noi, in questo spaesament­o collettivo che si ritrova però unito nell’osannare ora questo film, ora quest’altro, dandogli forzatamen­te dei significat­i politici ed etichette definitive, una tra tutte “capolavoro”.

Così “Povere Creature!” viene proposto cme una sorta di Frankenste­in femminista, e tutti dietro: evidenteme­nte mettere un’opera dentro una casella precisa offre in qualche modo una certezza e allo stesso tempo può esimere lo spettatore da un giudizio etico ed estetico rispetto a ciò che ha visto.

Più appassiona­nte come vicenda umana è stata una rissa sfiorata in sala, in cui un ragazzo dopo due ore di film si è alzato per andarsene, sbottando ad alta voce, innescando una serie di fischi e venendo quasi alle mani con tizio seduto dietro di lui che gli ha urlato “Vattene!” a cui lui ha replicato con un pacatissim­o “Ti aspetto fuori”.

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