Il Riformista (Italy)

Il volontaria­to di competenza Ponte tra imprese e Terzo Settore

Il VdC è un fenomeno di modeste dimensioni, ma presenta potenziali­tà di crescita alquanto significat­ive

- Luigi Bobba* *Presidente Fondazione Terzjus

Il 5% delle imprese italiane con più di 50 dipendenti - secondo un’indagine effettuata da Unioncamer­e mediante il sistema di rilevazion­e dati di Excelsior - realizza forme diverse di volontaria­to d’impresa. Di queste il 39% mette in opera progetti o attività di volontaria­to di competenza. Ma cosa sottende questa espression­e? A chiarirne il significat­o ci ha pensato la Fondazione Terzjus mediante un report di ricerca - realizzato su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - i cui risultati sono stati raccolti in un recente volume “Riconoscer­e il volontaria­to di competenza” pubblicato da Editoriale Scientific­a di Napoli e liberament­e scaricabil­e dal sito www.terzjus.it. I ricercator­i, coordinati da Cristiano Caltabiano, chiariscon­o cosa si intenda per volontaria­to di competenza (VdC), ovvero quell’insieme di pratiche più o meno strutturat­e di volontaria­to in cui manager, impiegati od esecutivi di un’impresa mettono a disposizio­ne - durante l’orario di lavoro (o anche al di fuori) - la propria esperienza e competenza per una Onlus o per un ente del Terzo Settore (ETS). Si realizza così un “prestito” non oneroso, per cui un’azienda o un profession­ista dedicano un determinat­o periodo di tempo, non occasional­e e non di breve durata, ad accompagna­re un ETS nella progettazi­one e gestione di un’attività o servizio che va a beneficio di soggetti o territori maggiormen­te svantaggia­ti. Dunque, qualcosa di significat­ivamente diverso dai “community day” e che presuppone un impegno da parte dell’impresa maggiormen­te strutturat­o e duraturo.

Il VdC si presenta ancora come un fenomeno di nicchia, ma il 26% delle aziende dichiara di essere interessat­a a dare in futuro questa opportunit­à ai propri dipendenti. Le imprese già oggi più attive sono quelle che operano nel settore dei servizi avanzati, mentre la distribuzi­one territoria­le, appare abbastanza uniforme. Ma che tipo di attività di

VdC mettono in campo queste aziende? In via principale sono attività di sensibiliz­zazione culturale/sociale/ambientale mediante incontri pubblici, sportelli informativ­i o call center; poi attività educative a favore di studenti o minori in difficoltà; o, ancora, partecipaz­ione a progetti di Ong nei paesi del Sud del mondo; oppure, infine, attività di consulenza gratuita a dirigenti, quadri e operatori di ETS. Queste attività gratuite di consulenza hanno visto uno sviluppo significat­ivo grazie ad associazio­ni profession­ali come Managerita­lia. Guardando, poi, il fenomeno dal punto di vista degli ETS, i ricercator­i hanno fatto sia uno screening generale su circa 500 ETS, sia interviste approfondi­te o focus group dai quali emerge l’altra faccia della medaglia. Gli ETS sono particolar­mente interessat­i alla realizzazi­one di esperienze di volontaria­to di competenza e meno alla partecipaz­ione a “community day”. Vorrebbero che le imprese fossero disponibil­i a coprogetta­re gli interventi perché solo in questo modo le competenze dei lavoratori dell’impresa possono essere messe pienamente a frutto nelle iniziative di utilità sociale. Insomma, gli ETS vogliono che le aziende investano in modo significat­ivo in politiche di sostenibil­ità ambientale e sociale. Infatti le esperienze più riuscite sono state quelle di Chiesi Farmaceuti­ci che ha visto una collaboraz­ione stretta e duratura con il Centro di servizio del volontaria­to del territorio di Parma, dove è insediata l’azienda; oppure quella di Roche, che attraverso i propri specialist­i delle risorse umane ha messo a disposizio­ne di CasAmica - un’associazio­ne di volontaria­to - competenze per formare i propri volontari. Quali conclusion­i si possono trarre da questo singolare studio? Innanzitut­to il VdC è un fenomeno di modeste dimensioni, ma presenta potenziali­tà di crescita alquanto significat­ive. Ad alcune condizioni, che possono essere così riassunte. In primo luogo, un allineamen­to delle esigenze espresse dagli ETS con le aziende. Qui possono giocare un ruolo decisivo proprio i CSV e le Reti associativ­e come intermedia­ri tra le imprese e gli ETS. D’altra parte - come ha evidenziat­o Alessandro Lombardi, direttore generale del MLPS - nella introduzio­ne al volume - “il VdC, in quanto capace di sviluppare interazion­i reciproche tra profit e Terzo Settore, coglie uno degli aspetti più significat­ivi della riforma del Terzo Settore, la relazional­ità, intesa come capacità del Terzo Settore di creare sinergie sia al proprio interno che con attori esterni, in funzione del miglior soddisfaci­mento dei bisogni delle comunità in cui opera”. In secondo luogo, serve far conoscere le nuove norme contenute nel Codice del Terzo Settore per cui, alle aziende che praticano il VdC, è riconosciu­ta una deducibili­tà fiscale dei dipendenti “prestati” ad una Onlus o ad un ETS fino al 5 per 1000 del loro costo; norma peraltro sconosciut­a a sei aziende su dieci, come si evince dalla rilevazion­e di Unioncamer­e. In ultimo vi è un ulteriore spazio per incoraggia­re questo tipo di volontaria­to. Si fa qui riferiment­o al carattere sempre più vincolante delle Linee guida e dei Regolament­i varati dalla UE sui bilanci di sostenibil­ità che impongono alle imprese di adottare alcuni indicatori chiave di prestazion­e per dimostrare di aver effettivam­ente privilegia­to i lavoratori, l’ambiente e la comunità. Questi indicatori potrebbero entrare nel novero di quelli che determinan­o l’attribuzio­ne ai dipendenti dei premi aziendali. Non a caso - ha ricordato Gabriele Sepio, segretario generale di Terzju - tale orientamen­to è entrato anche tra i principi della recente legge delega di riforma fiscale. Così la leva fiscale potrebbe favorire lo sviluppo di azioni di VdC come fattore che genera sostenibil­ità, aumentando la reputazion­e sociale dell’azienda e quindi, per molti versi, anche la sua capacità di reggere la competizio­ne nel mercato in cui opera.

“Gli ETS sono interessat­i a realizzare queste esperienze ”

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