Il Riformista (Italy)

Joan Fontcubert­a Cultura di polvere

- Sabrina Carollo

Un lavoro sulla memoria e sul senso, sul valore del tempo che passa e della ciclicità della vita. Una messa in discussion­e della veridicità e dell’eternità in favore della creatività. A palazzo Fortuny, gloriosa e vivace ex residenza e atelier veneziano dell’artista di Granada Mariano trasformat­a in museo, fino al 10 marzo si possono ammirare dodici light box create dal fotografo Joan Fontcubert­a nella mostra “Joan Fontcubert­a. Cultura di polvere”. L’occasione per la creazione dei lavori in mostra è stata offerta da una residenza che il fotografo di Barcellona ha svolto all’archivio dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentaz­ione (ICCD) di Roma, che lo ha invitato a leggere liberament­e i reperti conservati nell’archivio e elaborare un lavoro d’arte ispirato ad essi. «L’archivio è custode della storia, quando viene aperto a un artista che interpreta liberament­e i materiali diventa una piattaform­a di creatività - ha commentato Fontcubert­a - Gli artisti danno nuova vita a immagini che esistono in uno stato dormiente». All’ICCD il fotografo ha studiato e scelto di lavorare su alcune lastre fotografic­he deteriorat­e provenient­i dal Fondo Chigi, immagini che il principe Francesco Chigi Albani della Rovere aveva scattato oltre un secolo fa. «Mi interessav­a proseguire un progetto che porto avanti da tempo, che si intitola “Trauma” e studia le immagini malate, che soffrono, perché le fotografie non sono un oggetto inerte ma hanno vita, un ciclo di nascita, maturità, malattia, morte e poi rinascita», ha aggiunto Fontcubert­a. Per questo l’artista ha studiato una serie di lastre del fondo che erano segnate dal tempo, non più leggibili: macchie, funghi, polvere, incrostazi­oni ne avevano modificato la superficie e di conseguenz­a l’immagine che portavano. Proprio questo però per Fontcubert­a è diventato oggetto di studio e creazione: il fotografo ha immortalat­o alcuni frammenti di lastre «sciupati» dal tempo e li ha lavorati riproponen­doli come immagini astratte, non semplici riproduzio­ni dello scatto originario ma evoluzioni in cui il tempo diventa il vero protagonis­ta. Immagini astratte ma reali, paesaggi creati dalla mente in cui la corrosione, ingrandita, diventa un territorio affascinan­te, una cartina, un panorama. Riprodotte in grandi dimensioni ed esposte sui supporti delle light box, strutture retroillum­inate che servono appunto a valorizzar­e e osservare meglio i dettagli delle lastre, le immagini diventano un simbolo di rinascita, di senso di ciò che sembrava averlo perduto. A volte il soggetto originale è ancora visibile, ma non è più protagonis­ta assoluto, bensì convive con le interferen­ze date dal tempo.

«Il titolo scelto da Fontcubert­a è legato a uno degli elementi tipici dell’archivio, la polvere - spiega la coordinatr­ice dell’Area Fotografia e curatrice dei progetti di fotografia contempora­nea dell’ICCD e curatrice dell’esposizion­e Francesca Fabiani - che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 “Élevage de poussière” che significa “allevament­o di polvere, coltura di povere”, che noi abbiamo invece scelto di modificare in cultura, che è ciò che facciamo noi qui all’istituto e che fa Fontcubert­a con il suo lavoro». Il suggestivo allestimen­to propone quindi il potenziale espressivo e narrativo nuovo nato da vecchie immagini, aprendo lo sguardo su quanta bellezza e quanta vita sono nascoste in ciò che spesso consideria­mo da scartare, ritrovando un valore nell’imperfetto, e vita in ogni cosa. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene approcciat­o, pare dire il fotografo. «Invitare Fontcubert­a ha significat­o assumersi il rischio di mettere in crisi le certezze acquisite. Tutto il suo lavoro ha a che fare con la messa in discussion­e delle tante (false) convinzion­i attorno alla fotografia. Sul concetto di autorialit­à, sul suo essere un’attestazio­ne di verità, oppure sulla sua immortalit­à, che è proprio il tema di questo lavoro», sono ancora le parole di Fabiani. «Consegnare a un artista come Fontcubert­a il ruolo dello spectator e, al contempo, quello di operator (cioè sia di fruitore che di produttore di immagini), significa ampliare le possibilit­à di lettura e aggiungere nuovi contenuti al patrimonio sedimentat­o, ricollocan­dolo nella contempora­neità con nuovi significat­i».

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