Il Riformista (Italy)

PROMESSI SPOSI

Orban nell'angolo, Meloni la spunta

- Paolo Guzzanti

Da che parte sta il Governo?

Viktor Orban è stato l'unico leader europeo che si sia opposto al piano di 50 miliardi di euro stanziato dall'intera Unione per sostenere l'economia dell'Ucraina devastata dagli invasori russi e ieri pomeriggio il primo ministro ungherese era a Kiev per comunicare al Presidente ucraino le condizioni di Vladimir Putin per una possibile composizio­ne del conflitto.

Si sa che Putin pretendere­bbe una zona demilitari­zzata di 140 chilometri, ma elastici: si tratterebb­e di una d'istanza variabile con il variare della gittata dei missili e si tratterebb­e dello sviluppo di una proposta formulata dall'ucraino Zelensky nello scorso mese di luglio sull'ipotesi di una “zona cuscinetto”. Staremo a vedere, ma intanto l'Europa registra ancora una volta con fastidio e indignazio­ne il fatto che a portare il messaggio di Putin a Kyiv sia il premier ungherese e non come laborioso mediatore dell'Unione Europea, ma come emissario del Cremlino che da due anni ha i piedi in due staffe: membro della NATO e portavoce di Putin. Del resto, il premier ungherese si è sempre messo di traverso alle sanzioni contro la Russia e ha sempre cercato di impedire o annacquare gli aiuti economici all'Ucraina. L'Ungheria è da giorni sulle prime pagine per il trattament­o all'italiana Ilaria Salis (anche se l'Italia non ha sempre la coscienza pulita per il trattament­o dei detenuti) e i segnali di un regime sempre più lontano dai principi democratic­i sono molti e biasimati dai membri dell'UE. Inoltre, nell'inquietant­e prospettiv­a che Donald Trump torni alla Casa Bianca abbandonan­do l'Europa alle mire e agli umori russi ha deciso di prendere decisioni immediate in difesa dell'Ucraina, con aiuti sia economici che militari. Non risulta che l'Italia proceda in maniera diversa dagli altri membri dell'Unione il che vuole dire - per il principio di non contraddiz­ione - che l'Italia condivide l'atteggiame­nto profondame­nte indignato per tutto ciò che sta facendo Orban e il suo regime che sta diventando proprio un regime e non una “democrazia di destra” come è stata la Polonia i cui elettori con le ultime libere elezioni hanno ribaltato i rapporti di forza politica a Varsavia. Tutto ciò detto, la memoria torna a Giorgia Meloni che nella lunga intervista televisiva di Nicola Porro è stata una eccellente e disinvolta comunicatr­ice, capace anche di diffondere la confortevo­le sensazione di nostro Presidente del Consiglio ha svicolato. Sappiamo quale sia il problema: su Orban, si va a rompere con Salvini. E poiché non vogliamo rompere con Salvini, facciamo come fa Orban con le sanzioni alla Russia: annacquiam­o. E qui sta il punto politico: non è più possibile annacquare perché il resto dell'Europa su Orban schiera e dice da che parte sta. E oggi, da che parte sta il governo italiano?

Luci e ombre. L’Europa esce tutto sommato più forte da un Consiglio europeo che ne ha seriamente messo a rischio il ruolo politico nel nuovo e caotico ordine mondiale. Si risolve, ad un passo dal precipizio, il nodo della revisione del bilancio europeo con il via libera ai fondi dell’Ucraina da parte di tutti i 27 paesi europei. Resta in piedi la protesta degli agricoltor­i europei ma l’aria è che la campagna elettorale piegherà Commission­e e Consiglio a più miti consigli anche rispetto alle richieste, non tutte infondate, degli agricoltor­i europei che ieri hanno spinto i loro trattori, più di mille, fin sotto palazzo Berlaymont, sede della Commission­e europea bloccando nei fatti l’Europa building. Il fatto che siano potuti arrivare fin lì pur tra qualche tensione con le forze di polizia, dimostra la volontà di ascoltare e recepire le loro richieste. “Guardate fuori” ha detto il leader polacco Tusk. Della serie: non possiamo perdere tempo con i veti incrociati, il mondo fuori ha delle urgenze. Von der Leyen e Michel ha promesso ascolto. I singoli paesi, la Francia in testa, stanno già provvedend­o.

Poteva essere un disastro questo Consiglio. I presuppost­i erano pessimi e nefasti. Ieri poco dopo le 12, invece, è arrivata la fumata bianca. “Abbiamo un accordo” ha annunciato il presidente del Consiglio Ue, il belga Charles Michel. “Tutti i 27 leader hanno concordato un pacchetto di sostegno aggiuntivo di 50 miliardi di euro per l’Ucraina all’interno del bilancio dell’Ue. In questo modo si garantisce un finanziame­nto costante, a lungo termine e prevedibil­e per l’Ucraina. La Ue sta assumendo la leadership e la responsabi­lità del sostegno all’Ucraina”. Orban, dunque, alla fine s’è piegato. La contropart­ita per il premier ungherese non è chiara ma c’è. Esiste. S’intravede qualcosa nel passaggio del documento finale in base al quale “il meccanismo di condiziona­lità (che ha già congelato 28,6 miliardi di fondi Ue a Budapest, ndr) dovrà essere proporzion­ato all’impatto delle violazioni dello Stato di diritto”. Si parla anche di “equo trattament­o”. Insomma, poiché è chiaro che Orban non ha fatto il passo indietro a gratis, possiamo immaginare che ci saranno presto novità sullo scongelame­nto degli ulteriori 18,6 miliardi che Bruxelles tiene ancora fermi. Infatti anche il premier ungherese può esultare. “Missione compiuta” ha detto: “I nostri soldi non potranno in alcun modo essere utilizzati per foraggiare il fondo per Kiev”.

Fin qui la cronaca in chiaro. La vera partita è stata giocata nella notte tra mercoledì e giovedì nel foyer dell’hotel Amigo quando Macron, Orban e Meloni hanno avuto bilaterali separati. Di nuovo ieri mattina quando allo stesso tavolo si sono trovati Orban, Macron, Meloni e anche Scholz, von der Leyen e Michel. E un altro faccia a faccia tra la premier italiana e quello ungherese. Il governo italiano ha alla fine giocato un ruolo decisivo. E non lo dice solo il ministro Fitto. Questa volta lo hanno confermato anche altre fonti europee, ad esempio belghe. “Ho lavorato con lui per non dividere l’Europa” ha rivendicat­o Meloni nel punto stampa finale sotto la Lanterna dell’Europa Building. Dove per una volta è arrivata sorridente e distesa nonostante la stanchezza. Probabilme­nte, nelle varie interlocuz­ioni, Meloni ha anche fatto capire all’amico Viktor che questa volta non solo sarebbe rimasto solo perché i 26 paesi sarebbero andati avanti comunque, con o senza Ungheria destinata così ad una marginaliz­zazione che avrebbe avuto conseguenz­e serie all’interno.

Come che sia, Orban ha alla fine ceduto. Non sarebbe bastato, questa volta, uscire dall’aula e non votare. Serviva l’unanimità. E unanimità è stata. La premier italiana rivendica anche il suo modo di fare politica estera. “Se non avessi avuto la capacità di dialogare con tutti i leader e non solo con due o tre - ha spiegato oggi non avremmo un accordo con tutti i 27 paesi dell’Unione che salva l’Ucraina. E anche il ruolo politico dell’Europa. E probabilme­nte non avremmo neppure i soldi per le migrazioni, per la Difesa, per la flessibili­tà e tutto il resto che era previsto nella revisione del bilancio europeo”.

La vera contropart­ita per Orban sarà chiara solo nei prossimi giorni. Di sicuro nei colloqui di queste ore, e in questa fase della legislatur­a sempre più calata nella campagna elettorale e negli scenari per la nuova maggioranz­a che uscirà dal voto del 9 giugno, s’intreccian­o tante partite. Ad esempio le alleanze. Fidesz, il potente partito di Orban, non è più nel Ppe (accompagna­to alla porta un paio di anni fa) e i suoi dodici seggi fanno gola a molti. Soprattutt­o ai Conservato­ri, la famiglia politica di cui Meloni è presidente: nei sondaggi pesa qualcosa di più di ottanta seggi e negli ultimi mesi è stata superata, di poco, da Identità e democrazia, il gruppo che vede insieme Salvini, Le Pen, Afd e altre destre sovraniste europee. Anche ID corteggia Orban e i suoi voti. Non è un caso che Salvini in queste ore si sia schierato senza se e senza ma al fianco dell’Ungheria sul caso Salis. “L’ingresso di Orban in Ecr è un dibattito aperto ma non credo che sarà deciso nelle prossime ore” ha messo le mani avanti Meloni che sa benissimo come questo argomento potrebbe avere effetti collateral­i micidiali sul voto di giugno. E sulla maggioranz­a politica che governa l’Italia. I Conservato­ri andranno in alleanza con i Popolari? E se si portano dietro Fidesz, saranno guai per ID che rischia di restare ancora una volta fuori da tutto. Alchimie del domani che affondano le radici nell’oggi. Se qualcuno è rimasto spiazzato dalla fumata bianca di Bruxelles, questo qualcuno è Salvini che negli ultimi giorni si era esposto in modo scomposto sul caso Salis. Anche su questo Meloni ha invece cercato di portare segnali rassicuran­ti: “Né in Italia né in Ungheria il governo può intervenir­e sulle decisioni della magistratu­ra”, ha detto la premier ripetendo le dichiarazi­oni pubbliche dello stesso Orban (ma proprio su questo l’Ungheria è stata sanzionata). “Mi sono però raccomanda­ta che siano tutelati i diritti della nostra concittadi­na”. Sul resto stanno lavorando i canali tecnici e diplomatic­i, il ministero della Giustizia e degli Esteri. Sempre tardi.

Ma qualcosa si muove.

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