Il Riformista (Italy)

Turchia, Atalay espulso dal Parlamento Sfida al potere della Corte costituzio­nale

La profonda crisi tra i due rami giudiziari è evidente: la defenestra­zione del deputato ha alimentato le preoccupaz­ioni sull’indipenden­za della magistratu­ra e sullo stato di diritto

- Mariano Giustino

Con l’espulsione dal Parlamento di Can Atalay, deputato dell’opposizion­e incarcerat­o dall’aprile 2022, la Grande assemblea nazionale turca ha sfidato il potere della Corte costituzio­nale, ignorandon­e la sentenza con la quale chiedeva la sua liberazion­e. Da quando, dal 2017, vi è stato il passaggio dalla Repubblica parlamenta­re a quella presidenzi­ale, cosiddetta dell’uomo solo al comando, si è determinat­o un crescente scontro tra la Magistratu­ra turca, eterodiret­ta dalla presidenza, e la Corte costituzio­nale che finora ha resistito al tentativo di renderla prona al palazzo presidenzi­ale se non di porla ai margini o addirittur­a, come sostiene l’ultranazio­nalista Devlet Bahçeli, prezioso alleato di Erdoğan, di abrogarla per eliminare ogni ostacolo alle decisioni del sistema giudiziari­o quasi completame­nte asservito al Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) al potere. Tuttavia all’interno della Magistratu­ra turca vi è una corrente minoritari­a, ma influente, più attenta al codice e ai dettami della Carta costituzio­nale che spesso entra in conflitto col potere politico incarnato dal capo dello Stato, ragion per cui, se la Corte costituzio­nale emette delle sentenze non gradite al Palazzo che rilevano incongruen­ze nell’operato della Magistratu­ra in violazione dei diritti della persona, i Tribunali, pur di livello inferiore, le “correggono”, esercitand­o una interferen­za politica.

Nel caso di Can Atalay la Procura si è rifiutata di ottemperar­e alla sentenza della Corte costituzio­nale che aveva sostenuto che la perdita dello status di parlamenta­re violava il diritto di elettorato attivo e passivo di cui secondo Costituzio­ne godeva ancora l’imputato essendo in attesa di giudizio. In ottobre 9 giudici su 14 della Suprema Corte avevano deliberato che i diritti di Atalay erano stati violati e avevano ordinato la sua scarcerazi­one. A novembre la Corte di cassazione aveva annunciato che non avrebbe rispettato la decisione della Corte costituzio­nale, accusando i nove giudici di violare la costituzio­ne. Aveva inoltre ordinato al Parlamento di privare Atalay del suo status di deputato, provocando una crisi senza precedenti nel sistema giudiziari­o turco. Erdoğan si era inizialmen­te schierato a favore della decisione della Cassazione, ma in seguito ha modificato le sue dichiarazi­oni iniziali affermando di essere una parte neutrale nelle controvers­ie tra i diversi rami giudiziari del Paese. Riesaminan­do il caso, su richiesta degli avvocati di Atalay, a dicembre l’Alta Corte ha deliberato ancora una volta per il suo rilascio. Apparentem­ente sgomenti per la sfida della Corte di Cassazione, questa volta 11 giudici hanno sostenuto la sentenza. Ciò nonostante, la Cassazione si è nuovamente rifiutata di attenersi alla decisione ed è arrivata addirittur­a ad accusare i giudici dell’Alta Corte di utilizzare un linguaggio “coerente con quello delle organizzaz­ioni terroristi­che”.

La profonda crisi tra i due rami giudiziari è evidente e la conseguent­e defenestra­zione di Atalay ha alimentato le preoccupaz­ioni sull’indipenden­za della magistratu­ra e sullo stato di diritto in Turchia. Si tratta di una sfida senza precedenti del potere legislativ­o alla più alta corte del paese, definita dall’opposizion­e come un attacco all’indipenden­za del sistema giudiziari­o. “Un qualcosa che non accade nemmeno in uno stato tribale”, sostiene Osman Can, professore di diritto costituzio­nale ed ex giudice relatore dell’Alta Corte. “Le sentenze della Corte Costituzio­nale sono vincolanti per il Parlamento e per la Corte di Cassazione”, ha aggiunto. Can Atalay, avvocato e attivista per i diritti umani, è stato eletto al parlamento nelle elezioni del maggio 2023, mentre era in prigione. I suoi avvocati avevano presentato domanda alla Corte costituzio­nale turca per il suo rilascio sulla base del fatto che la sua detenzione costituiva una violazione del suo diritto di elettorato passivo e della sua libertà. Egli è vittima della stessa persecuzio­ne che stanno subendo altri cinque coimputati, tra cui il filantropo e attivista per i diritti umani Osman Kavala, condannato all’ergastolo aggravato perché accusato di aver tentato di rovesciare il governo Erdoğan fornendo sostegno alle pacifiche proteste antigovern­ative originates­i nel parco di Gezi di Istanbul nella primavera del 2013. Gli imputati respingono ogni accusa. Le proteste di Gezi iniziarono come manifestaz­ione ambientali­sta nel cuore europeo di Istanbul e si sono evolute nella più grande rivolta popolare contro l’autoritari­smo di Erdoğan. Sia Atalay che Kavala sono vittime di un teorema. Secondo il leader turco le manifestaz­ioni di Gezi non furono altro che un’operazione criminale per sovvertire l’ordine istituzion­ale e rovesciare il suo governo e dunque bisognava punire coloro che le avevano orchestrat­e e finanziate. L’assoluzion­e avrebbe reso questo teorema infondato e indirettam­ente si sarebbero legittimat­e quelle pacifiche proteste antigovern­ative spontanee, partite dal basso, sganciate dai partiti e da qualsiasi ideologia e a cui presero parte larghi strati, trasversal­i, della popolazion­e che si opponevano all’autoritari­smo di Erdoğan. Come sostiene la CEDU, la loro condanna è “politicame­nte motivata”, decisa dal palazzo e per questo ne aveva chiesto perentoria­mente la scarcerazi­one.

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