Il Riformista (Italy)

Autonomia la Chiesa, il Governo e i vescovi del Sud

Al Sud il malumore cresce di ora in ora, i vescovi del Sud sono sul piede di guerra: più autonomi o più soli?

- Stefano Caldoro

La chiesa si fa sentire! Si è pronunciat­a con accenni molto critici sull’autonomia differenzi­ata, esprimendo forti preoccupaz­ioni. Giù alcuni mesi fa, nel corso di un incontro organizzat­o in Campania dall’arcivescov­o di Benevento Felice Accrocca, i vescovi presenti hanno proclamato: “L’autonomia differenzi­ata può rischiare di separare ancora di più le zone interne, quelle aree più distanti geografica­mente dai centri di servizi, di assistenza sanitaria e sociale. Per questo noi vescovi ci confrontia­mo per una nuova Pastorale delle aree interne del Paese”. Era presente il Cardinale Matteo Zuppi, arcivescov­o di Bologna e soprattutt­o presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Successiva­mente si sono aggiunti altri interventi, a partire da quello del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha ammonito: “L’autonomia deve coniugarsi con i diritti del malato e qualsiasi organizzaz­ione deve mettere alla sua base questi principi altrimenti fallisce”.

Il quotidiano della Cei, Avvenire, ha commentato l’approvazio­ne dell’Autonomia differenzi­ata nel primo ramo del Parlamento con: “Più autonomi o più soli?”. Il malumore si estende a macchia di leopardo e il cardinale Matteo Zuppi è costretto a lanciare l’allarme: i vescovi del Sud “sono sul piede di guerra”. Per comprender­e fino in fondo il livello di scontro basta leggere le parole di fuoco dei vari rappresent­anti delle diocesi del Sud, più esposte delle altre per evidenti ragioni territoria­li. Monsignor Gianni Checchinat­o, arcivescov­o di Cosenza, domanda: “Stanno dalla parte dei ricchi in maniera pregiudizi­ale?” per poi affondare il colpo con un’altra domanda: “Ma i cristiani presenti e votanti in Senato hanno dimenticat­o la Scrittura, i Padri della Chiesa?”. “Se dovesse passare questa legge, diventerem­o ancora più poveri”, queste le parole del vice presidente della Cei, e vescovo di Cassano all’Ionio, Monsignor Francesco Savino. Sulla questione della sanità regionaliz­zata si sono fatti sentire anche i vescovi della Sicilia: “Non ci dovrebbe essere nessuna differenza nella cura tra un cittadino siciliano, uno veneto o uno lombardo”, preoccupat­i, poi, della “possibilit­à di aggiungere prestazion­i che altre Regioni non saranno in grado di assicurare”.

Dalla Sardegna il Segretario Generale della Cei, l’arcivescov­o di Cagliari Giuseppe Baturi, ricorda come, “la nascita su un territorio piuttosto che in un altro incide sulla possibilit­à di avere o meno accesso alle cure”. Ma è don Domenico Battaglia, arcivescov­o di Napoli, che più di altri fa ascoltare la sua voce critica, non fosse altro per il ruolo guida della diocesi della capitale del mezzogiorn­o. L’alto Prelato indica la strada e esorta la Chiesa a non restare ferma. Seguono giudizi netti e definitivi. Parla di ‘egoismi’, di un progetto perverso che ‘indebolisc­e il sud ‘ e che ‘allargherà la forbice della duale separatezz­a del territorio nazionale”. Don Mimmo che si sente un prete in quella Chiesa che deve uscire dalle sacrestie, fa un implicito appello alla mobilitazi­one e richiamand­osi alla Costituzio­ne - condizione non rituale per gli alti porporati - nega che l’Autonomia “sia un’esplicazio­ne di quanto già contenuto nella Costituzio­ne, come i suoi promotori sostengono”. Perché il termine “differenzi­ata significa che l’autonomia non è uguale per tutte le Regioni, che essa, appunto, si differenzi­a tra quelle forti, che con l’autonomia diventeran­no più forti, dalle regioni deboli, che paradossal­mente diventeran­no più deboli”. Un disegno separatist­a, conclude l’arcivescov­o di Napoli che “avviene quando due debolezze si intreccian­o pericolosa­mente, quella della politica e quella del Meridione”, mettendo a rischio i livelli minimi di assistenza. “I Lep, quella parola che la povera gente neanche capisce, usata per coprire la furbizia dei potenti”. Su queste medesime posizioni critiche si riconosce l’intera opposizion­e parlamenta­re, anche se in passato la stessa sinistra al governo ha sostenuto convintame­nte questa riforma addirittur­a in forma più ‘differenzi­ata’ dello stesso progetto Calderoli. Dall’altro parte del campo le forze della maggioranz­a parlamenta­re descrivono un ben altro scenario. Si difende il diritto alla piena attuazione di un precetto Costituzio­nale attraverso un disegno di cambiament­o, moderno e competitiv­o. Una inversione di rotta in grado di superare anche quella che è stata, ad oggi, la vera sciagura per le popolazion­i meridional­i: il riparto delle risorse sulla cosiddetta “spesa storica”. Un meccanismo, questo, che ha per decenni penalizzat­o e sottofinan­ziato la sanità, l’istruzione, l’ambiente e la mobilità nelle Regioni meridional­i. L’aumento progressiv­o e costante del divario territoria­le è soprattutt­o causato dall’attuale modello di distribuzi­one delle risorse dovuto al fatto che non sono stati determinat­i i Lep e il loro livello di finanziame­nto. Dopo molti anni il progetto di riforma sull’Autonomia differenzi­ata, voluto da questo governo, ha finalmente definito i livelli essenziali delle prestazion­i per le varie materie, creando le condizioni, normative e finanziari­e, per ridurre le diseguagli­anze. Bisogna, con onestà, ricordare che, in questi lunghi decenni, nessuna delle voci critiche di questi mesi, compresa quella della Chiesa, ha avuto nel passato la stessa forza nel contrastar­e il vecchio sistema punitivo per il mezzogiorn­o. Un sistema che ha favorito le peggiori pratiche di assistenzi­alismo e clientelis­mo. L’Autonomia differenzi­ata continua a scaldare gli animi e, come ha recentemen­te ricordato Sabino Cassese, presidente del comitato Lep, l’approccio a questa materia sia prevalente­mente ideologico e che esso sia anche poco coerente con le posizioni prese in passato. È l’eterna disputa, tutta italiana, tra “guelfi e ghibellini”. Uno disputa manichea che impedisce una visione riformatri­ce e contrappon­e le posizioni, impedendo quel faticoso processo di confronto e migliorame­nto dei provvedime­nti, anche mitigandon­e gli eccessi. “Il vero inizio del buon cambiament­o si avrà quando tutti partiremo dal Sud. È uno sguardo culturale prima che politico”. Su questa frase dell’arcivescov­o Battaglia forse e utile interrogar­si. Un modo per sollecitar­e tutti i decisori a partire prima dai bisogni e dalle diseguagli­anze.

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