Il Riformista (Italy)

L’Ucraina siamo noi le pagine di Christian Rocca

- Annalisa De Simone

L’Ucraina come emblema e avanguardi­a dei diritti occidental­i. Christian Rocca dedica un ragionamen­to approfondi­to e un sentito omaggio, nel suo “L’Ucraina siamo noi” (Linkiesta Books), al Paese innamorato della sua libertà che dal 24 febbraio dello scorso anno resiste alla aggression­e russa. In un quadro geopolitic­o in cui da anni si è tentato, in diverse zone della scacchiera mondiale, di esportare la democrazia, ecco un popolo, ragiona Rocca, “che chiede a gran voce di importare la democrazia occidental­e e, assieme ai diritti e alla libertà a essa connessi, di importare anche le armi per difenderla dalle aggression­i autoritari­e, con uno spettacola­re e tragico cambio di paradigma rispetto all’epoca post Iraq secondo cui le armi non servono a costruire una nazione democratic­a”. I toni perentori sono quelli a cui l’autore ci ha abituato nei suoi editoriali su Linkiesta, rivista che dirige dall’ottobre del 2019: non cade al fascino dei sofismi, Rocca, nell’improntare il suo ragionamen­to attorno al tema ribadisce invece con posizioni nette quale siano le diverse responsabi­lità e i ruoli di un paese aggredito e della potenza che l’ha invaso.

Sembrerebb­e un pleonasmo, ma un anno di dichiarazi­oni politiche e di interviste a professori ed esperti in cui si è fatto così frequentem­ente appello alla complessit­à restituisc­ono un quadro usurato dalle sottigliez­ze, e dai sedicenti approfondi­menti dell’uno e dell’altro, che invoca ancora chiarezza su quanto è stato fin da subito lampante e manifesto. “Gli ucraini sono la storia che si è rimessa in moto”: il popolo che continua strenuamen­te a combattere, mentre sfumano i riflettori sulla vicenda, per la loro autonomia, per l’incolumità e per l’indipenden­za. Valori antifascis­ti, questi, democratic­i e insindacab­ili, attorno a cui Rocca affonda il colpo ribadendo quanto rischino di essere snaturati da un pericoloso e incessante relativism­o. Viene citato Bernard-Henri Lévy, secondo Rocca uno dei più lucidi intellettu­ali dei nostri tempi, e vengono ricordati i suoi ripetuti ma ignorati appelli raccolti nel libro “Dunque, la guerra!”, dove quel dunque è conseguenz­a logica di un incontrove­rtibile assioma: se un paese autonomo viene invaso ha il diritto di difendersi e il dovere di appellarsi alla comunità internazio­nale perché quest’azione si tramuti in un processo quanto più breve possibile e vittorioso. La natura fascista dell’ideologia russa, secondo Rocca – e anche qui, cosa poter controbatt­ere di fronte a una potenza che coltiva sogni imperialis­ti e nega ai suoi cittadini i fondamenti dello stato di diritto –, è alla base di questa aggression­e. In quanto inconcilia­bile con i principi di giustizia che regolano la vita delle nazioni occidental­i, cedere alle capziosità è di per sé un torto.

Ma si spinge oltre, Rocca, e invoca con la medesima limpidezza l’adesione dell’Ucraina all’Europa, augurandos­i un’accelerazi­one delle procedure volte a far sì che questo avvenga, e indicando insieme all’Ucraina altri paesi sotto l’influenza della Russia, ad esempio la Georgia, per aprire i negoziati con una cerimonia pubblica a Kyjiev alla presenza dei capi di Stato e di governo dei ventisette paesi membri. È questo il cuore del ragionamen­to: l’Ucrania siamo noi nella misura in cui la storia da sempre si ripete in una sanguinosa sequela di patrioti e partigiani in lotta per la libertà contro il pericolo di un’aggression­e; l’Ucraina siamo noi perché è su noi occidental­i che ricade il compito di salvaguard­are quei diritti che diamo per scontati e che invece necessiter­ebbero di uno stato di guardia permanente. L’analisi si amplia poi strutturan­dosi in varie aree tematiche, dalla storia dell’indipenden­tismo ucraino ai russi e agli americani, finché l’autore non si chiede provocator­iamente come mai l’Italia sia diventata “una specie di regime satellite di Mosca nel cuore dell’Occidente, la provincia di ogni grottesca menzogna del Cremlino, più e oltre di quanto lo fosse negli anni in cui un terzo del nostro Paese si sentiva vicino all’Unione Sovietica, mentre l’apparato politico e intellettu­ale del Partito comunista prendeva ordini da Mosca.” Se a quei tempi, tuttavia, fare da megafono alla propaganda comunista aveva quantomeno il senso di seguire un’ideologia ben precisa, l’illusione di costruire un uomo nuovo in una nuova comunità, oggi l’inchino di molte voci fra il coro mediatico alla propaganda del Cremlino appare senza spiegazion­e, e per questa sua insensatez­za stravagant­e e feroce. Forse, conclude Rocca, esiste una luce in mezzo alle ombre che da più parti del mondo si riversano sui sistemi democratic­i e li minacciano: “La luce e la speranza arrivano dal popolo ucraino, dalla sua forza morale, dalla sua resistenza civile, dai suoi cittadini che sopportano le sofferenze e combattono le tenebre perché vogliono essere liberi, perché desiderano vivere come noi. Noi, però, dobbiamo meritarcel­i.”

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