Il Riformista (Italy)

Appello: (non) diamo i numeri

- Gian Domenico Caiazza

Da molti anni la drastica compressio­ne del diritto degli imputati ad un secondo grado di giudizio costituisc­e l’obiettivo addirittur­a prioritari­o di quel fronte che definirei del “riformismo efficienti­sta” del processo penale. Di abolizione secca sono addirittur­a giunti a parlare Caselli e Davigo, ma qui siamo all’ossessione, lasciamo perdere.

La ragione starebbe nei numeri: la durata dei nostri giudizi di appello è di gran lunga la più lunga d’Europa (oltre 1100 giorni, seconda la Francia con 300, per capirci). In tempi di PNRR, la richiesta di riduzione di questo sproposito da parte della Commission­e Europea è divenuta brutale questione di soldi. Senonché, i numeri vanno raccontati tutti, e vanno letti con onestà intellettu­ale. Non è che un processo d’appello in Italia dura mediamente più di 1000 giorni: la quasi totalità dei processi di secondo grado si celebra e conclude in una udienza, insieme a decine di altri nello stesso giorno. Quel termine spaventoso misura la durata del parcheggio del fascicolo in Appello, prima della fugace celebrazio­ne del processo. Dunque il problema è struttural­e: le dotazioni di organico delle Corti di Appello sono del tutto inadeguate al bisogno. Aggiungo che questo accade peraltro solo in un certo numero di Corti di Appello (in linea di massima le più popolose, ma nemmeno in tutte), visto che nell’altro 60% siamo in piena media europea. Ma ecco che invece di intervenir­e su questa evidente e scandalosa patologia struttural­e ed organizzat­iva, non si pensa ad altro (ANM in prima fila) che a ragionare su come soffocare il diritto al secondo grado di giudizio. Nell’analizzare il quale, misteriosa­mente, l’analisi statistica dei nostri riformisti efficienti­sti si ferma lì. Dicono: sono troppi gli appelli, bellezza. A me basta invece indicare due dati dei quali non si ama parlare. La percentual­e media delle sentenze di primo grado impugnate in appello è grosso modo del 38%. Il tasso medio di riforma (totale o parziale che sia) delle sentenze impugnate si avvicina al 40%. Ora, vi prego di ragionare, muovendo dal dato notorio delle sentenze di assoluzion­e in primo grado, che veleggia stabilment­e intorno al 50% dei processi trattati, punto più punto meno. Siamo al naufragio, catastrofi­co ed impunito, delle indagini preliminar­i, o se preferite dell’esercizio dell’azione penale (oltre che della udienza preliminar­e). Una bancarotta senza precedenti. Ed invece i Pubblici Ministeri, protagonis­ti assoluti di questo disastro, continuano ad essere gli eroi popolari della giustizia penale; ed i cittadini imputati, che chiedono solo di potersi difendere in entrambi i gradi di giudizio da questa fiumana di indagini raffazzona­te e di accuse seminate senza criterio, sarebbero i sabotatori della efficienza virtuosa. Noi ci limitiamo a ricordare i numeri stratosfer­ici del fallimento dell’azione penale in Italia, e diciamo: se non volete mettere mano a questo scandalo, almeno lasciateci il diritto di difenderci. Che, tra il lusco e il brusco, e dopo anni di patimenti, funziona, a fare i conti della serva, quasi sette volte su dieci. O mi sbaglio?

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