GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ DOVE VA LA CASSAZIONE?
Nomofilachia: parola decisiva per i compiti della Cassazione. Lo “sguardo” sui ricorsi garantisce osservanza della legge, interpretazione uniforme e unità del diritto nazionale. Per Calamandrei, “coordinazione” tra funzione legislativa e giudiziaria, ereditata dal modello napoleonico.
Nella Relazione sull’Amministrazione della Giustizia, l’imperativo funzionale è, però, accompagnato dalla Presidente da termini evocativi: dimensione “circolare”, “dialogica” e “plurale”, quasi a volersi schermire dall’immenso potere esercitato.
Al fine di frenare il presunto progressivo slittamento verso un’inopinata “terza istanza” di merito e cavalcando grida di dolore sull’impossibilità di lavorare lanciate dagli stessi giudici, per l’esorbitante numero di cause con senza una loro massiccia selezione, l’attuale assetto della Cassazione penale è frutto di forze convergenti.
Innanzitutto, la progressiva erosione dell’area del controllo sulla motivazione dei provvedimenti, al fine di sigillare ogni “finestra sul fatto”, riducendo il controllo sul travisamento di fatti e prove da parte dei giudici di merito.
In secondo luogo, l’introduzione di uno spoglio preliminare che convoglia dinanzi ad una apposita sezione i ricorsi da fulminare con l’inammissibilità, mediante forme sempre più semplificate e meno garantite. Così da cestinare ben oltre la metà dei ricorsi, tanto che la citata Relazione rivendica la potenziata “attività di esame preliminare dei ricorsi, finalizzata ad individuare prontamente i ricorsi inammissibili o manifestamente infondati”.
Alla ricerca di una nomofilachia “perduta”, la Legge Orlando ha aperto la strada ad una “cultura del precedente all’italiana”. Ogni Sezione semplice ha l’obbligo di rimettere la questione, qualora intenda discostarsi dal dictum delle Sezioni Unite. Per giunta, è possibile enunciare principi di diritto anche in caso di inammissibilità. Senza tenere conto dell’inscindibile legame tra “principio” e “caso concreto” oggetto di ricorso, di ostacolo ad ogni automatico binding precedent all’anglosassone, con conferimento di un potere quasi sacrale all’Ufficio del Massimario. Infine, la partecipazione della difesa è ridotta all’osso, con contraddittorio, di regola, solo cartolare ed a presenza limitata, eventuale e solo on demand alle udienze di discussione. Il fastidio, al limite dell’intolleranza, per la presenza degli avvocati nelle aule di piazza Cavour, da segreta aspirazione si è trasformata in regola, da legislazione emergenziale anti-Covid in riforma Cartabia.
Era inevitabile: l’aspirazione verso uniformità e prevedibilità, in luogo di una babele giurisprudenziale, figlia, anche se non soltanto, di quella normativa, conduce a sensibili incrementi della pulsione verso una lettura centralizzata delle norme.
Proprio qui si annida il paradosso. Dimensione costituzionale significa diritto al ricorso ed al processo in Cassazione, come controllo centralizzato di legittimità circa la necessaria soggezione dei giudici alla legge. La medesima diffidenza napoleonica verso arbitrii giurisdizionali in danno della codificazione unitaria del diritto nazionale. Viceversa, con ardite letture evolutive del dato normativo a Sezioni Unite, senza timore di stressare le norme in ottica funzionale, si prediligono approcci poco garantisti e per nulla accusatori. Sono altrettanti spot per la ciclica legislazione “giurisprudenziale”, fotografia dello stato dell’interpretazione o, addirittura, innalzamento della stessa prassi a fonte di diritto e interpretazione. Pronti a divenire base per una speditezza del processo attraverso ulteriori compressioni normative ed interpretative del diritto al ricorso. Della ritrovata nomofilachia rischia di restare il retrogusto, più amaro che dolce, di una dimensione “burocratica” del controllo, con sviluppata propensione verso una selezione del ricorribile, ossessionata da temi organizzativi e statistici. Con paradossale negazione del diritto giurisprudenziale, magari rivendicata come “percorso di autoriforma della Corte di cassazione”, come orgogliosamente intitolato un paragrafo della recente Relazione.