Dramma carceri ennesimo suicidio, già 15 da inizio anno
A togliersi la vita nel penitenziario di Verona un detenuto ucraino di 38 anni È il quinto suicidio in tre mesi in quello che ormai per tutti è il “carcere della morte”
Ancora un suicidio nel carcere di Verona. Intorno alle ore 20 di sabato scorso, nell’infermeria della casa circondariale della città scaligera si è impiccato un detenuto ucraino di 38 anni che era stato dimesso da qualche giorno dal reparto psichiatrico. È il quinto suicidio in tre mesi in quello che ormai per tutti è il “carcere della morte”. “I suicidi in carcere sono una tragica contabilità cui non si può restare indifferenti. Il dato di questo primo mese del 2024 non ha paragoni e fa segnare un’abnorme impennata”, ha commentato il senatore Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia a Palazzo Madama. “Solo poche settimane fa ci compiacevamo per la significativa riduzione dei suicidi in carcere registrata tra il 2022 ed il 2023 - prosegue - e oggi registriamo dati che non abbiamo avuto neanche nel periodo della pandemia. È difficile credere che possa essere solo fatalità”. “Probabilmente c’è un motivo, che io non so, ma andrebbe indagato. E bisognerebbe chiedere a chi si occupa di questi temi se può aver inciso una qualche forma di emulazione. Perché il sovraffollamento, che sicuramente è un problema, c’era anche lo scorso anno”, ha quindi aggiunto Zanettin.
Con la morte del 38enne ucraino salgono così a 15 i suicidi in carcere da inizio anno, un numero enorme in assoluto e ancor di più se rapportato allo stesso periodo degli scorsi anni.
“Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”, denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe).
A destare scalpore è comunque la dinamica del suicidio del 38enne ucraino nel carcere veronese. “Una morte annunciata perché già ci aveva provato, tagliandosi la gola, ad inizio anno”, fanno sapere gli attivisti di Sbarre di zucchero, una associazione veneta che si occupa di fornire assistenze alle persone recluse. “Al suo rientro in carcere, dopo il ricovero, era stato portato in infermeria ed è lì che si è impiccato, portando a compimento il suo già manifesto intento di porre fine alla sua esistenza”, aggiungono da Sbarre di zucchero, domandandosi “come è possibile che non si sia stati in grado di evitare questa morte? Come è possibile che tale disagio psichiatrico non sia stato adeguatamente intercettato e preso concretamente in carico? Cosa sta succedendo nel carcere di Montorio? Ma, soprattutto, cosa stanno facendo direzione ed amministrazione comunale per evitare che questo Istituto continui ad essere tristemente noto come “il carcere della morte”?”. “Tutte queste domande le rivolgeremo direttamente al sindaco e alla giunta comunale nel corso del presidio che a breve faremo di fronte al municipio di Verona, perché questo totale immobilismo deve finire immediatamente: quanti altri Farhady, Giovanni, Oussama, Antonio dovremo seppellire prima che si ammetta il totale fallimento nella gestione di un carcere che ai suoi reclusi offre solo abbandono e disperazione?”, concludono dall’associazione.
“Nostro malgrado, la carneficina nelle carceri del Paese continua, così come proseguono il malaffare, le risse, le aggressioni alla Polizia penitenziaria, il degrado e molto altro ancora”, commenta invece Gennarino De Fazio, segretario generale della Uil polizia penitenziaria, ricordando che anche un suo collega due settimane fa si era tolto la vita. Il cittadino ucraino suicidatosi nel carcere di Verona, va ricordato, era incensurato ed era stato arrestato per ‘proteggere’ la moglie che lo aveva denunciato. Aveva anche una figlia e lavorava regolarmente. In casi come questi, con la custodia cautelare disposta per motivi precauzionali, dicono in molti, dovrebbe essere previsto un regime detentivo diverso da quello che subisce un condannato in via definitiva.
“Il carcere per i malati psichiatrici è un non senso”, afferma il togato del Csm Andrea Mirenda che prima di essere eletto a Palazzo dei Marescialli era giudice di sorveglianza presso il tribunale di Verona.
“C’è assoluta carenza dei servizi di assistenza psichiatrica e psicologica, un aspetto che proprio per il carcere di Verone era stato più volte segnalato all’Asl, a partire già del 2021”, precisa Mirenda, sottolineando che i medici del penitenziario veronese per primi avevano lanciato l’allarme.
Il sovraffollamento carcerario e l’assenza di qualsivoglia servizio socio-sanitario che possa garantire la detenzione nel rispetto dei principi costituzionali pare essere ormai una costante. Come dimenticare le parole nel 2011 dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione del sovraffollamento, ritenuta “un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Due anni dopo, nell’ottobre 2013, sempre Napolitano, aveva inviato un messaggio alle Camere nel quale indicava le misure urgenti da adottare, tra le quali amnistia e indulto sulla “drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Napolitano si riferiva alla cosiddetta sentenza Torreggiani del gennaio 2013 con la quale si stabiliva che entro il mese di maggio dell’anno successivo l’Italia avrebbe dovuto risolvere il problema “strutturale e sistemico” del sovraffollamento carcerario, per ripristinare “senza indugio” il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Sono passati anni e non è cambiato nulla. E non è una bella cosa.