Il Riformista (Italy)

“Una ferita ancora aperta”

Famagosta è uno dei simboli del grande problema di Cipro. I greco-ciprioti la osservano da lontano e chiedono una soluzione a quest’anomalia che pesa su entrambe le comunità

- Lorenzo Vita

P- NICOSIA

er arrivare a Dherynia da Nicosia bisogna percorrere una strada che ricorda una “u”. Prima si va giù verso Larnaca, poi si risale costeggian­do il territorio britannico di Dhekelia e infine si raggiunge la cittadina a ridosso della “Linea Verde”. Dherynia è uno dei centri abitati che sorgono nei pressi dei checkpoint che consentono di passare dal territorio sotto l’autorità della Repubblica di Cipro a quello del nord controllat­o dai turchi. Ma è soprattutt­o una città da cui è possibile prendere un binocolo e guardare da lontano quella che per molti greco-ciprioti è ancora la loro vera casa: Famagosta. Per loro, quella città si è trasformat­a da 50 anni in un ricordo. Costretti a spostarsi a sud, i discendent­i della comunità vivono nella flebile speranza di potere un giorno tornare ad abbracciar­e i luoghi della propria infanzia o dei propri genitori. Convivere dopo essere stati separati, riuscendo a superare anche le divergenze e le diffidenze tra le due comunità. Questa battaglia è stata fatta propria dai membri del consiglio comunale (in esilio) di Famagosta. I suoi membri vivono sparsi per Cipro, ma continuano a ritrovarsi lì, nel Centro Culturale del Comune di Famagosta, a pochi chilometri dalla loro terra d’origine. Salendo sulla terrazza dell’edificio, si può prendere il binocolo e osservare le bandiere di Ankara e dell’autoprocla­mata repubblica del Nord, la terra di nessuno, e quella città un tempo veneziana, poi ottomana e che da 50 anni è sotto controllo turco. E si può osservare Varosha, la zona “fantasma” a sud di Famagosta che per il consiglier­e Andreas Vrahimis è ancora oggi “una ferita aperta” ma anche “il primo step per una soluzione pacifica della questione cipriota”. Vrahimis parla delle risoluzion­i delle Nazioni Unite riguardo Varosha, dei colloqui con le autorità del nord, del problema delle vecchie proprietà dei greco-ciprioti che ora sono abbandonat­e, ma non dimenticat­e. Ma per il consiglier­e in esilio, l’obiettivo è risolvere una divisione che pesa tanto sui greco-ciprioti quanto sui turco-ciprioti. “La proprietà è importante, certo, e non possiamo fare finta di nulla. Ma la pace è ancora più importante e conta di più trovare una soluzione per i nostri figli e i nostri nipoti” spiega Vrahimis. Sul tavolo, i dossier aperti sono tanti. Il dialogo con i turco-ciprioti non si è mai interrotto, ci spiega, anche con le stesse autorità della parte settentrio­nale dell’isola. Ma resta il punto di dover arrivare a una soluzione che è voluta soprattutt­o dal basso, da entrambe le comunità, che subiscono per prime la condizione di un’isola che vive un’inquietant­e e frustrante anomalia. Dove il sindaco in esilio guarda la sua città d’origine da lontano dicendo: “Ci hanno rubato la nostra vita per 50 anni. E questa è una tragedia che non riusciamo a superare”. L’impegno della popolazion­e c’è, da entrambe le parti. Per i consiglier­i greco-ciprioti anche il sindaco turco ha compreso che lo status quo è insostenib­ile. Il mondo non riconosce in alcun modo le autorità della autoprocla­mata repubblica turca, lasciando quindi il nord in un isolamento rotto solo da un legame sempre più stretto con Ankara. Ma come ci dice un altro esponente del consiglio, Pantelis Andronikou, finché i negoziati sono interrotti e non vi sarà la volontà politica di risolvere questo tema cruciale del Mediterran­eo da parte del governo di Ankara (ma non solo), non si potrà arrivare a una soluzione concreta. Con migliaia di soldati turchi che occupano la parte settentrio­nale dell’isola, tutto passa anche dai desiderata di Recep Tayyip Erdogan e dagli equilibri del Mediterran­eo orientale. Ed è chiaro che ogni cosa assume un peso che va ben al di là della semplice questione cipriota. L’isola è un crocevia fondamenta­le. A poche miglia dalla costa turca ma anche porta europea sul Levante e il Medio Oriente, Cipro è uno snodo geopolitic­o unico. Da Nicosia, i governi che si sono succeduti nel corso degli anni hanno voluto imporre una rotta chiara per blindare i rapporti con l’Unione europea, trasforman­dosi anche in uno dei più importanti hub energetici (in particolar­e del gas). E lo dimostrano anche gli impegni di Eni e di altri colossi energetici occidental­i nelle acque sotto controllo cipriota. Inoltre, stringendo una serie di partnershi­p con i suoi vicini, in particolar­e con Israele, Cipro ha aumentato il proprio valore strategico anche come “pilastro della stabilità regionale”, come ci hanno spiegato fonti del governo. L’esempio è arrivato anche con la proposta del presidente Nikos Christodou­lides sulla possibilit­à di realizzare un corridoio navale umanitario in favore della popolazion­e della Striscia di Gaza, che dista poco più di duecento miglia dalle coste di Cipro.

Ma non va dimenticat­o anche il ruolo dell’isola dato dalla presenza di due tra le più importanti basi estere delle forze armate britannich­e, Akrotiri e Dhekelia. Con la prima usata anche dalla Royal Air Force nei raid contro le forze Houthi nello Yemen, e che è diventata anche oggetto di protesta di una parte della popolazion­e. In questo complesso connubio di problemi interni e grandi tematiche internazio­nali, Cipro diventa quindi la cartina di tornasole di un equilibrio delicato in cui ogni questione locale può avere un effetto regionale. Da tempo il governo e la comunità internazio­nale spingono per la ripresa dei negoziati per raggiunger­e una soluzione. Ma mentre Nicosia vuole un unico Stato per entrambe le comunità, la Turchia punta tutto sul riconoscim­ento della repubblica del nord. La stagnazion­e è evidente. E mentre il mondo si interroga su come porre fine a questa ferita in un Paese d’Europa, Cipro aspetta con impazienza di chiudere uno dei capitoli più difficili della sua storia millenaria. Per fare in modo che nessuno debba più vedere da lontano quella che un tempo era la casa di tutti, e che ora invece è divisa da una zona cuscinetto dove i caschi blu dell’Onu controllan­o che il conflitto non esploda anche per il minimo incidente.

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