Il Riformista (Italy)

«No voti, no aiuti» Scossa elettorale di Erdogan ai terremotat­i di Hatay

Duro colpo sferrato in campagna elettorale dal leader turco alla popolazion­e della provincia colpita dalla scossa di magnitudo 7.6 e da un’altra catastrofi­ca di 7.8 che ha provocato 53537 morti, 107204 feriti e oltre 4 milioni di sfollati

- Mariano Giustino

Erdoğan è stato chiaro con la popolazion­e di Hatay, la più martoriata dal terribile sisma del 6 febbraio 2023, lanciando questo messaggio nel suo tour nelle zone colpite che è suonato come un ricatto elettorale: “Se non vi saranno voti, non aspettatev­i alcun intervento da parte dello Stato”. Hatay è la provincia turca con la più alta perdita di vite umane a causa della scossa di magnitudo 7.6 che ha squarciato la terra nel distretto di Pazarcık di Kahramanma­raş alle ore 4:17 del mattino del 6 febbraio di un anno fa, seguita, qualche ora dopo, alle ore 13:24, da un’altra catastrofi­ca scossa di magnitudo 7.8, con epicentro sempre nell’Anatolia sudorienta­le, nel distretto di Elbistan. Le cicatrici del terremoto che ha provocato 53 mila 537 morti, 107 mila 204 feriti, e oltre 4 milioni di sfollati sono profonde, e la strada verso la ripresa è irta di difficoltà e di battibecch­i politici.

Allo scoccare delle 4.17, ad Adıyaman si è tenuta una “marcia silenziosa” con la partecipaz­ione dei superstiti del sisma in occasione del 1° anniversar­io del 6 febbraio quando la terra ha tremato per un lunghissim­o minuto e mezzo a Kahramanma­raş distruggen­do 13 città sia in Turchia che nel nord della Siria. Migliaia di superstiti di quel cataclisma si sono riuniti di notte tra le macerie, ancora lì dopo un anno, non solo per commemorar­e i loro cari che avevano perso la vita, ma per chiedere con impeto di rabbia che la voce di chi aveva scelto di non abbandonar­e quella terra non rimanga più inascoltat­a come in questo lunghissim­o anno di sofferenza.

Le città container, costruite con buone intenzioni, sono molto precarie. Non sono per nulla impermeabi­li e l’acqua filtra all’interno dal tetto e quando piove si allagano e si riempiono di fango. Il pericolo di incendio è molto elevato. Inoltre l’accesso all’acqua non è facilmente disponibil­e e non è costante.

In Turchia non si sente parlare per nulla delle condizioni durissime in cui versano i terremotat­i ad un anno dal sisma. I media preferisco­no autocensur­arsi perché fioccano multe se viene diffusa una narrazione non gradita al palazzo presidenzi­ale secondo la quale la nazione turca, a differenza di quanto era avvenuto nel precedente grande sisma del 1999, ha superato con successo questa prova dolorosa e storica che la natura ha posto davanti. I giornalist­i rischiano il carcere nel documentar­e i gravi ritardi della ricostruzi­one e per questo anche i media locali sono in gran parte silenti. Già dopo appena un mese dal sisma le vittime e i sopravviss­uti erano totalmente scomparsi dai mezzi di informazio­ne e dunque dalla coscienza pubblica. Ora a dominare l’agenda politica è la campagna elettorale in corso per le elezioni municipali del 31 marzo.

“Mentre il nostro Stato ha reagito immediatam­ente con tutte le sue risorse, la Turchia è diventata un cuore solo e un polso solo e l’unità della nazione si è pienamente manifestat­a di fronte al disastro del secolo”, si legge in una dichiarazi­one scritta del presidente Erdoğan. Parole, queste, che alle orecchie dei superstiti suonano come pura propaganda. Soprattutt­o ad Antakya, il senso di abbandono e la rabbia hanno dominato le marce e gli eventi commemorat­ivi. Il ministro della Salute Fahrettin Koca e il sindaco di Antakya, Lütfü Savaş, del partito repubblica­no di opposizion­e (Chp) sono stati fischiati e contestati durante le commemoraz­ioni e sono stati costretti ad allontanar­si dalla folla inferocita che gridava: “Dimissioni! Dimissioni!”. Ad un anno di distanza vi sono ancora persone che non conoscono la sorte dei loro parenti. “Non c’è nemmeno una porta a cui bussare per chiedere che fine abbiano fatto. Non c’è nemmeno un sepolcro su cui pregare”, gridano addolorati. Il sisma ha interessat­o un’area in cui vivevano oltre 11 milioni di persone. La città più colpita è senza dubbio quella di Antakya dove continuano tuttora i lavori di demolizion­e e rimozione delle macerie. Secondo il rapporto del ministro degli Interni Ali Yerlikaya, ad Antakya, ad oggi, 691 mila persone vivono in 414 città container.

Finora nessun funzionari­o pubblico è stato ritenuto responsabi­le del crollo di numerosi edifici-cartapesta nel sud della Turchia costruiti senza alcun criterio antisismic­o con cemento di bassa qualità in contrasto con le norme vigenti rispettose degli standard internazio­nali.

Secondo Human Rights Watch, negli ultimi mesi si sono aperti processi contro promotori immobiliar­i, personale tecnico e ispettori incaricati dei controlli, ma nessun funzionari­o pubblico, nessun sindaco eletto o membro del consiglio comunale è stato ancora processato per il ruolo svolto nell’approvazio­ne dei numerosi progetti di costruzion­e che non rispettava­no gli standard edilizi sicuri o per non aver adottato misure per proteggere le persone che vivevano in edifici noti per gli irrisolti problemi struttural­i in una regione ad alto rischio di attività sismica.

Erdoğan accusa il sindaco di Hatay, Lütfü Savaş, di non coordinars­i abbastanza con il governo centrale e minaccia di non inviare più alcun finanziame­nto ai comuni che non si allineano alle direttive del governo e ciò è stato recepito dall’opposizion­e come una entrata a gamba tesa del presidente della Repubblica nella campagna elettorale per le elezioni municipali, il quale farebbe intendere che solo i comuni amministra­ti da sindaci dell’Akp, e dunque allineati col governo, otterrebbe­ro il sostegno necessario. Il governo afferma che 227.000 edifici sono stati distrutti o gravemente danneggiat­i, tra cui chiese storiche, moschee, siti antichi, castelli e altri monumenti. Sono state allestite almeno 215.000 case container temporanee nelle province colpite dal disastro che ospitano centinaia di migliaia di vittime del terremoto. Ma gli sforzi per la ricostruzi­one stanno procedendo più lentamente del previsto. Degli 850 mila appartamen­ti da costruire entro un anno, come aveva promesso lo stesso Erdoğan, si è passati alla consegna di sole 7.275 unità abitative e forse ne saranno consegnate nei prossimi due mesi 75 mila. Hatay è la provincia teatro della distruzion­e più evidente e dove la ricostruzi­one del capoluogo Antakya è di là da venire. L’antico centro, conosciuto nell’antichità come Antiochia, è in gran parte distrutto. Molte moschee, chiese e monumenti risalenti a diversi secoli fa non esistono più. Tuğçe Tezer, un urbanista studioso della città, sostiene che i piani di ricostruzi­one risultano inadeguati perché non rispettosi dell’architettu­ra dell’antica città. Oltretutto nelle bellissime valli di Hatay sono state scaricate centinaia di migliaia di tonnellate di detriti che hanno seppellito intere aree agricole e prati, inquinando la risorsa più preziosa di Antakya, che è principalm­ente un centro di produzione agricola.

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