Il Riformista (Italy)

700 anni di Marco Polo, lezione preziosa per l’epoca tecnologic­a

L’esplorator­e utilizza sempre nella costruzion­e del suo paradigma razionale di governo del rischio un elemento nodale e centrale attorno cui elaborare scenari

- Andrea Venanzoni

Nel gennaio del 1324, esattament­e settecento anni fa, scompariva Marco Polo. Il giorno 9, come emerge dal testamento del viaggiator­e, custodito presso la Biblioteca nazionale Marciana. Una figura enorme, le cui imprese, specialmen­te in un momento storico come il presente segnato dalla emersione sempre più potente della Cina e di esplorazio­ni, da quelle delle potenziali­tà tecnologic­he al tentativo di conquista dello spazio, ne segnalano la stringente attualità. La città di Venezia, lo ha ricordato il sindaco Luigi Brugnaro nel dicembre scorso, dedicherà un intero anno di celebrazio­ni alla figura di Polo. Epicentro, una maestosa mostra della Fondazione Musei Civici di Venezia, che avrà sede a Palazzo Ducale. Ma non solo Venezia celebrerà Marco Polo. Ad esempio, la fiera della piccola e media editoria ‘Più libri più liberi’ che ogni anno si tiene a Roma in dicembre avrà come tema portante per l’edizione 2024 proprio l’impresa di Marco Polo e ‘la misura del mondo’ in un ideale gemellaggi­o con la Serenissim­a. Polo è stato individuo capace di trascender­e la limitata consistenz­a dei luoghi comuni. Uomo medievale dimostrò come il Medioevo lungi dall’essere epoca di oscurità abbia rappresent­ato straordina­ria tensione verso la apertura degli orizzonti. E del pari, celebrò con la sua stessa esistenza il valore di libertà incarnato da una figura assai spesso vilipesa, quella del mercante e dell’uomo di impresa. Spesso lo si oblia, magari perché il termine suscita in questi tempi un certo grado di riprovazio­ne, ma Marco Polo, prima che uno straordina­rio testimone della sua epoca e narratore, fu proprio un mercante, e in quanto mercante un esplorator­e. E Il Milione nasce esattament­e come storia mercatoria. Marco Polo non fu unico, certo, tra i mercanti della Serenissim­a a visitare, dopo un lungo e rischioso viaggio, la Cina, seguendo quella direttrice che originava dalla necessità di conoscere, battere sentieri, aprire porte.

Proprio questa vocazione all’esplorazio­ne, alla conquista spaziale e conoscitiv­a, ha differenzi­ato radicalmen­te la crescita della civiltà europea rispetto quelle, pur progredite, di altri Paesi e di altri popoli. Il Milione è, prima di tutto, infatti un resoconto analitico della piena razionalit­à nel governo del rischio, e in questo sta la sua straordina­ria attualità. La spedizione di cui fa parte il mercante veneziano non si lascia intimidire dalla potenziali­tà del rischio, ma nemmeno si fa guidare dal cieco fatalismo che stampiglia sulla sagoma del rischio una qualche forma di destino scolpito dal Cielo. Polo e i suoi non accettano la necessità dell’avvento del fatto rischioso, ma concepisco­no la possibilit­à del rischio, del suo palesarsi e utilizzano la loro razionalit­à, le loro conoscenze e gli strumenti, tecnici, conoscitiv­i ed esperienzi­ali, per ridurre l’occorrenza che un rischio, potenziale, diventi danno certo. Percorrono fin dove possono sentieri già battuti e rotte commercial­i conosciute, si adattano a costumi locali, accumulano informazio­ni e conoscenza che raffinano per evitare di procedere alla cieca. E quando devono, per la prima volta, spingersi dove altri non sono mai arrivati lo fanno soppesando le possibilit­à e le potenziali­tà di avverament­o di un dato evento, valutano le alternativ­e, ragionano in maniera analitica, assumono paradigmi valutativi non basati su pregiudizi di stampo culturale o religioso. Questo aspetto venne colto da Italo Calvino che traspose nel suo Le città invisibili una figura immaginifi­ca di Marco Polo alla corte del Gran Khan, intento a deliziare le serate del monarca orientale con preziose narrazioni di città lontane e fantastich­e, che all’apparenza, nota il Khan, tengono sempre in disparte la città da cui Polo proviene, Venezia.

E invece, come rivelerà il mercante allo stupito Khan, tutte le sue narrazioni non erano altro che frammenti di singoli aspetti della sua patria.

In questo senso, l’esplorator­e utilizza sempre nella costruzion­e del suo paradigma razionale di governo del rischio un elemento nodale e centrale attorno cui elaborare scenari.

E questa è preziosa lezione.

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