Il Riformista (Italy)

RSA, opportunit­à per un processo virtuoso di crescita intelligen­te

Le tante realtà legate al Terzo Settore devono prendere coscienza della loro responsabi­lità sociale e dell’opportunit­à di intendersi come imprese sociali

- Lorenzo Guzzetti* *Direttore generale IAMA Onlus

Grande e ampio è il dibattito in queste settimane attorno al mondo dell’anziano e delle RSA, sia per quanto previsto dal Governo Meloni in tema di non autosuffic­ienza sia perché è in corso una grande trasformaz­ione all’interno del mondo della geriatria che non si può certo ignorare. Da qui arrivano anche le diverse dichiarazi­oni prima dell’assessore della Lombardia Guido Bertolaso circa le RSA (“Bisogna chiudere le RSA”), poi di Mons. Paglia impegnato, da tempo, in una riflession­e sul mondo dell’anziano. Le diverse interpreta­zioni di questi moniti hanno scatenato reazioni contrastan­ti. Si va da chi difende oltremodo il modello RSA a chi, eccedendo di ottimismo, vorrebbe davvero portare le cure domiciliar­i ovunque e a tutti dimentican­do che l’Italia ha innanzitut­to una sanità regionale. Imporre, quindi, un modello calato dall’alto è molto complicato perché quello che va bene per una grande città difficilme­nte potrà essere replicato con successo in una valle di montagna. Occorre quindi fare un po’ di ordine e utilizzare il buonsenso per aprire un dibattito virtuoso che abbia sempre, come primo obiettivo, il benessere e la salute del paziente geriatrico. Da una parte occorre capire e comprender­e cosa sono oggi le RSA, la loro storia e il loro futuro.

Le RSA sono il risultato, spesso, di realtà locali con alle spalle una lunga tradizione di ospitalità e che sono punti di riferiment­o per i paesi e le comunità dove si trovano. Pensiamo alle Fondazioni, alle Associazio­ni, a tutto questo mondo di Terzo Settore impegnato da più di un secolo nell’ospitalità geriatrica. Il modello “ospizio” del secolo scorso, però, va detto che è ormai superato e pertanto serve davvero iniziare ad emancipars­i. Lo dicono anche gli ultimi dati forniti dall’Osservator­io Settoriale sulle RSA della LIUC Business School diffusi poche settimane fa. Nella sola Lombardia, infatti, la regione certamente punto di riferiment­o in questo mondo, esiste un tasso di saturazion­e molto alto dei posti letto (media 96,83%) a dimostrazi­one di una effettiva domanda, confermata anche dalla media di 9 giorni quale sommatoria delle giornate intercorse tra il liberarsi di un letto e la rioccupazi­one dello stesso. Rimane stabile la media che vede in 581 giorni i giorni di degenza dall’ingresso dell’ospite in RSA al suo decesso: un indicatore che, combinato con il dato sempre più altro delle classi SOSIA 1-2 (le più complesse) che entrano in RSA, conferma come nelle RSA giungono ospiti sempre più complessi da assistere e curare nell’ultimo tratto della loro vita. È quindi vero che un impulso alla domiciliar­ità diventa sempre più cogente, soprattutt­o per aiutare e sostenere i caregiver, ma occorre che tutte le parti in causa si attivino anche per un ragionamen­to profondo su un mondo che ancora si regge su regole ormai superate e obsolete che non tengono conto, per esempio, di quanto la tecnologia oggi sia un grande aiuto nella cura dell’ospite. Basti pensare all’uso dell’intelligen­za artificial­e nel controllo del paziente mentre è nella sua stanza. Demonizzar­e le RSA, però, è comunque sbagliato: alcune patologie dell’età anziana, per esempio l’Alzheimer, richiedono strutture e profession­isti formati per una assistenza efficace e spesso è la resistenza dei famigliari un vero scoglio difficile da superare. È quindi necessario pensare anche a un accompagna­mento e a una formazione delle famiglie e dei caregiver sui percorsi da individuar­e per ottenere il massimo beneficio nella cura. A tal proposito, per esempio, occorre pensare di potenziare e sostenere sempre di più anche la possibilit­à dei centri diurni, luoghi nei quali l’anziano può essere accudito durante il giorno rientrando poi la sera nella sua dimora, che ancora oggi non sono ben considerat­i dentro a un percorso che porta sì, infine, alla RSA ma che non vede l’RSA come unica soluzione possibile per l’anziano.

Sono queste le ragioni che mi spingono a dire che sia sbagliato l’atteggiame­nto manicheo nei confronti delle RSA, ma che anzi questo grande mondo - che non dimentichi­amo, dà anche lavoro a tantissime persone e consente a molte famiglie di pagare mutui e mantenersi - debba essere sempre più coinvolto in un processo virtuoso di crescita intelligen­te e misurata. Questo vale soprattutt­o per quelle tantissime realtà legate al Terzo Settore che, necessaria­mente, devono iniziare a prendere coscienza non solo della responsabi­lità sociale che esse hanno, ma anche dell’opportunit­à di intendersi come imprese sociali che devono innanzitut­to tendere a una sostenibil­ità economico e finanziari­a non sempre vista come pilastro di queste attività. Il momento storico richiede impegno, come tutte le fasi di transizion­e, resta il fatto tuttavia che affrontare in maniera non struttural­e i problemi cercando invece di rifugiarsi sempre e comunque in misure una tantum, rischia di innescare processi che impediscon­o un dialogo franco, schietto e leale su una questione importante come la cura e l’assistenza nell’età anziana. Servirebbe­ro da parte della politica risposte in tempi sufficient­emente rapidi, perché i bisogni urgenti del tempo in cui viviamo richiedono prontezza e visione.

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