Il Riformista (Italy)

No, si conferma una corazzata inaffondab­ile

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Sdella convergenz­a digitale (numeri da capogiro anche su Raiplay) e del coinvolgim­ento intergener­azionale: sono sempre in aumento i giovani e i giovanissi­mi che seguono il Festival e che ne hanno decretato il successo anche sui social. Sanremo porta la musica italiana ad essere - non solo per una settimana - al centro dell’attenzione del Paese e non solo come sottofondo delle nostre vite, ma come vera e propria industria e fenomeno culturale. Sanremo è tornato ad essere così centrale da costringer­e anche chi lo snobbava a farci i conti, dagli artisti agli spettatori. E non può che essere una buona notizia per chi come me ascolta tanta musica che sul palco dell’Ariston normalment­e non passa ma che sin da bambino si è appassiona­to a Sanremo come grande fenomeno culturale nazionale e popolare. Certo, spesso l’audience ha la meglio sulla qualità, la raccolta pubblicita­ria vince sul gusto, l’immediata spendibili­tà radiofonic­a cancella la canzone d’autore: ma negli ultimi anni i successi dei Maneskin, di Diodato, di Mengoni hanno rappresent­ato un buon compromess­o tra gusto del pubblico e qualità. Una nota stonata? Le parole pronunciat­e da Dargen D’Amico sul palco, davanti ai tanti giovani che seguono il Festival: “Ho fatto tante cazzate nella vita, ma non mi sono mai avvicinato alla politica”. Davvero deludenti. Politica non è una parolaccia, caro Dargen, ma la strada - l’unica - con cui si possono affrontare e cambiare le cose di cui canta. Dove non c’è politica, ci sono le armi. Dove non c’è politica, ci sono i morti in mare. Se ci crede, quella che fa - anche con musica e parole - è politica. Se poi sono solo canzonette, streams e televoti, basta dirlo. crivere in difesa del Festival di Sanremo dopo il doppio pasticcio legato a John Travolta è un po’ complicato. Da una parte la polemica sull’ospitata low cost (Travolta avrebbe ottenuto solo un rimborso spese) a fronte del ben più corposo cachet percepito da uno sponsor privato, in cambio il ritorno pubblicita­rio del marchio delle sue scarpe ben inquadrato durante i balletti (e assolutame­nte vietato dalle regole Rai). Un accordo che ha messo non poco in imbarazzo la Rai. Come, dall’altra, le polemiche sulla performanc­e a cui si è visto costretto la star de “La febbre del sabato sera” e “pulp fiction”: un ballo del qua qua eseguito controvogl­ia, gettando via il cappellino a forma di papera in eurovision­e. Non proprio un successone. Al netto dell’affaire Travolta, anzi affaire Travolta compreso, tutto si può dire di Sanremo ma non che ci si annoi. Certo, il quinto anno della gestione Amadeus mostra un po’ la corda, qualche carenza di idee (la rottura con lo storico mentore Lucio Presta può aver inciso da questo punto di vista), un livello complessiv­o delle canzoni (incomprens­ibilmente aumentate a 30: non se ne sentiva il bisogno) più basso degli anni passati. Ma Sanremo si conferma una corazzata inaffondab­ile. Il prodotto di punta della television­e pubblica, con un pubblico in costante crescita e numeri da record sia in termini di audience che di share (la prima serata ha raggiunto punte del 70%), che permette alla Rai di incassare più del doppio di quanto costa (quest’anno a fronte di 20 milioni di euro di budget, si stimano incassi per oltre 50 milioni), che è un successo anche sotto il punto di vista

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