Il Riformista (Italy)

Il governo dei magistrati

- Gian Domenico Caiazza

In Italia, ormai lo sanno anche i muri, non si può fare politica della giustizia senza il consenso della magistratu­ra. Se ci provi, paghi prezzi troppo alti, e non c’è in giro un partito o un leader politico che ne abbia davvero voglia o forza. L’idea è che, almeno, devi patteggiar­e con il potere giudiziari­o le riforme di maggiore rilievo.

Dunque la magistratu­ra italiana è, almeno a far data dal 1992, non solo un soggetto politico, ma senza dubbio il soggetto politico più forte in tema di politica della giustizia. Non esiste un Paese al mondo dove accada, neanche lontanamen­te, qualcosa di simile, ma la evidenza di questa anomalia antidemocr­atica, di questo tracotante oltraggio al principio della separazion­e dei poteri, sembra non riguardarc­i. Ed anche sul fronte, minoritari­o ancorché combattivo, di chi si oppone a questo scempio, si rischia un errore di prospettiv­a, e cioè che sia l’auspicata (e certamente fondamenta­le) riforma della separazion­e delle carriere la soluzione di questa anomalia. Che invece non basta, anche perché quella riforma non si farà mai se non si mette mano alla vera neoplasia della quale è affetto il nostro sistema istituzion­ale e democratic­o: l’occupazion­e militare del Ministero della Giustizia da parte di un centinaio di magistrati, messi all’uopo fuori ruolo e dunque sottratti al già carente organico dei Tribunali italiani. Il pretesto di questa assurda unicità planetaria (ripeto: si faccia un solo esempio analogo in qualunque altro Paese, democratic­o e non) sarebbe la necessità che la politica abbia il supporto della esperienza magistratu­ale nell’approntame­nto “tecnico” delle leggi, e nella gestione stessa del comparto giustizia. Una esigenza che nessuno mette in dubbio, ma che ovviamente non implica, non può implicare lo sgretolame­nto del principio di separazion­e dei poteri. Altro è avvalersi di esperienze e di consulenze di alcuni magistrati di alto profilo, altro è che il potere esecutivo si consegni a quello giudiziari­o, a cominciare dall’appalto dei ruoli chiave (Capo di Gabinetto, capo del Legislativ­o, DOG, DAG, DAP) che una legge mai scritta riserva ineluttabi­lmente alle toghe. Il Ministro di Giustizia non è aiutato o supportato, è circondato. Cosa questo significhi in termini istituzion­ali, politici e democratic­i è di una evidenza solare. Questo numero di PQM è dedicato ad approfondi­re la questione, a cominciare dalla schietta conversazi­one con l’ex segretario nazionale e poi Presidente di ANM, Luca Palamara, il quale, essendo diventato, per sua sventura, l’agnello sacrifical­e del rito purificato­rio della nostra intera Magistratu­ra, almeno ha conquistat­o una libertà di parola altrimenti impensabil­e. Se qualcuno pensa che ciò che qui egli ci racconta non sia vero, sarà nostro ospite in qualsiasi momento per argomentar­lo; se invece dice la verità -come la dice certissima­mente- ci chiediamo con sgomento come si possa continuare a rimanere inerti di fronte a questa vergogna.

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