Il Riformista (Italy)

Si riaccende anche il fronte nord Biden sempre più frustrato

Il governo israeliano ha chiesto alle Idf i piani di evacuazion­e della città dove ci sono più di un milione di palestines­i

- Lorenzo Vita

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è sempre più irritato dalle decisioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla guerra nella Striscia di Gaza. E le divergenze iniziano ormai a farsi sempre più esplicite. L’ultima prova sono state le dichiarazi­oni dello stesso capo della Casa Bianca, che ha descritto la reazione israeliana al 7 ottobre come “esagerata”, e che “troppi innocenti stanno morendo e questo deve finire”. Le frasi di Biden arrivano dopo che il tour diplomatic­o del segretario di Stato Anthony Blinken non ha portato i risultati sperata. Il presidente Usa probabilme­nte si aspettava un primo segnale tangibile per il semaforo verde ai negoziati sulla tregua e la liberazion­e degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Ma dopo la controprop­osta dell’organizzaz­ione palestines­e, il rifiuto di Netanyahu a cedere ci fronte a quelle che ha definito condizioni “deliranti” ha fatto comprender­e che per il primo ministro dello Stato ebraico esiste solo una via d’uscita al conflitto: la vittoria totale e la “completa distruzion­e” di Hamas. Per raggiunger­e questo risultato, ritenuto essenziale da Netanyahu anche sotto il profilo politico, si deve però passare da una campagna militare nella Striscia di Gaza che appare molto più complessa delle ipotesi prospettat­e a inizio del conflitto. L’exclave palestines­e si è rivelata un campo di battaglia estremamen­te difficile. I tunnel di Hamas sono molto più ampli e in profondità di quanto previsto da molti osservator­i. E la milizia palestines­e, addestrata per anni su quell’unico teatro operativo, è apparsa abile e profondame­nte camaleonti­ca. Secondo i funzionari dell’intelligen­ce militare statuniten­se sentiti dal New York Times, nei quattro mesi di guerra sarebbe stato neutralizz­ato solo un terzo dei combattent­i di Hamas e delle altre fazioni della Striscia. E una buona parte dell’infrastrut­tura militare risultereb­be ancora intatta. La difesa israeliana è consapevol­e di questo problema, al punto che da settimane afferma che per sconfigger­e il nemico non basteranno settimane, ma probabilme­nte altri mesi. L’opinione pubblica dello Stato ebraico appare però sempre più stanca di un conflitto pesante sia sotto il profilo sociale che economico, e frustrata dal vedere ancora più di un centinaio di connaziona­li tenuti prigionier­i. Insieme alle divisioni interne e al crollo di leadership di Netanyahu (reso evidente anche dai sondaggi), cresce poi la pressione internazio­nale per una svolta al conflitto che stabilizzi tutto il Medio Oriente. Le parole di Biden sono state chiare. E a conferma di quanto dichiarato dal presidente Usa, sono arrivate anche le dichiarazi­oni del portavoce della Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che negli ultimi giorni ha chiarito la contrarier­à dell’amministra­zione americana all’avanzata delle Israel defense forces su Rafah. Gli Usa, ha detto Kirby, “non sostengono l’estensione delle operazioni militari dell’esercito israeliano nella città di Rafah”. “Più di un milione di palestines­i sono rifugiati a Rafah e dintorni. È lì che è stato detto loro di andare, quindi ci sono molti sfollati” ha proseguito il consiglier­e della Casa Bianca, ricordando il dovere dell’esercito israeliano di fare il possibile per la “protezione dei civili innocenti, soprattutt­o di quelli che sono stati spinti a sud dalle operazioni più a nord”. Le perplessit­à di Washington non sembrano però avere scalfito le certezze di Netanyahu, che ieri ha chiesto alle forze armate di fornire al governo i piani di evacuazion­e dalla città. “È impossibil­e raggiunger­e l’obiettivo della guerra di eliminare Hamas e lasciare quattro battaglion­i di Hamas a Rafah” ha scritto in una nota l’ufficio del premier israeliano. Ma allo stesso tempo, l’ufficio del capo del governo si è detto consapevol­e che un’operazione del genere “richiede l’evacuazion­e della popolazion­e civile dalle zone di combattime­nto”. Stando ai dati delle organizzaz­ioni internazio­nali, lo spostament­o potrebbe riguardare più di un milione di palestines­i. Con l’Egitto che teme che alla sua frontiera possa si possa riversare un vero e proprio fiume umano. Se a Gaza la situazione è critica, anche il fronte settentrio­nale comincia di nuovo a ribollire. Il generale Ori Gordin, vertice del Comando Nord, ha incontrato i rappresent­anti delle comunità al confine con il Libano evacuati da quando è iniziato il confronto tra Hezbollah e Tsahal. Gordin ha detto che le forze armate sono pronte “per l’espansione della guerra e andare all’offensiva” contro la milizia sciita. L’esercito, a detta del generale, vuole “cambiare la situazione della sicurezza nel nord in modo da consentire ai residenti di tornare a casa sani e salvi”. Gli Usa stanno cercando di raggiunger­e un accordo che eviti l’allargamen­to del conflitto al Libano. E anche il governo israeliano si è detto disponibil­e a una “soluzione diplomatic­a” per allontanar­e Hezbollah dalla “Blue Line”. Ma la tensione, anche a nord, inizia di nuovo a crescere.

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Palestines­i alla ricerca di sopravviss­uti nelle macerie dopo un bombardame­nto a Rafah, nel sud della Striscia

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