Il Riformista (Italy)

Israele, gioia per il blitz Gelo Biden-Netanyahu

La liberazion­e di due ostaggi a Rafah è una vittoria morale del governo israeliano ma la comunità internazio­nale non vuole l’assalto alla città

- Lorenzo Vita

L’assalto di Rafah può essere un punto di svolta nella guerra di Israele contro Hamas. Benjamin Netanyahu è certo che colpendo l’ultima città a sud della Striscia il conflitto potrebbe prendere una piega diversa, in grado di velocizzar­e i piani per la vittoria e la demilitari­zzazione di Gaza. E l’operazione nel campo profughi di al-Shabura, a Rafah, con cui le forze speciali hanno liberato due ostaggi con doppia nazionalit­à argentina e israeliana, è stata un segnale importante. “Questa è stata una delle operazioni di salvataggi­o di maggior successo nella storia dello Stato di Israele. Avete eliminato i rapitori, i terroristi e siete tornati in Israele indenni: un’operazione perfettame­nte eseguita” ha detto Netanyahu incontrand­o i membri dell’unità antiterror­ismo Yamam (che hanno condotto l’operazione insieme a Shin Beth e forze armate). E in effetti, l’incursione dei commando israeliani in un territorio così densamente popolato e sotto il controllo di Hamas rappresent­a una vittoria importante sia sotto il profilo operativo che politico. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’operazione, che è stata preceduta da una serie di attacchi aerei, si è trasformat­a nel giro di pochi minuti in una pesante battaglia tra agenti israeliani e combattent­i palestines­i. Dopo l’assalto, i due ostaggi (Fernando Simon Marman, 61 anni, e Norberto Louis Har, 70 anni) sono stati poi condotti in elicottero allo Sheba Medical Center, dove sono stati sottoposti ai consueti accertamen­ti per verificare le condizioni di salute dopo mesi di prigionia. La metodologi­a usata da Israele, in un mix di informazio­ni di intelligen­ce molto dettagliat­e, raid aerei e utilizzo dei commando, è servita non solo per raggiunger­e un obiettivo importante, e cioè liberare i due ostaggi, ma anche per avvertire Hamas. Gli esperti sottolinea­no che l’organizzaz­ione palestines­e, nel comunicato successivo ai raid, ha volutament­e taciuto della liberazion­e degli ostaggi israeliani, soffermand­osi sugli effetti dei bombardame­nti aerei che hanno colpito la zona di Rafah e sulla morte di altri tre rapiti. Tuttavia, per la milizia palestines­e si tratta di un episodio difficile da digerire. L’assalto è avvenuto in un edificio che era sottoposto a una rigida sorveglian­za da parte dei miliziani, e questo potrebbe anche modificare sensibilme­nte il modo in cui sono tenuti sotto sequestro gli ostaggi. Inoltre, le informazio­ni di intelligen­ce sono risultate estremamen­te precise. E questo confermere­bbe quanto detto nelle ore precedenti dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, secondo cui le operazioni “nel cuore di Hamas” servivano anche per raccoglier­e più dati possibili sull’organizzaz­ione. “La loro intelligen­ce ora viene usata contro di loro. L’approfondi­mento dell’operazione ci avvicina a un accordo realistico per il ritorno degli ostaggi” aveva detto il ministro. La mossa, come dicevamo, ha però anche un chiaro significat­o politico. Netanyahu è da tempo sottoposto a una forte pressione interna dovuta all’incessante protesta delle famiglie degli ostaggi. E mentre le truppe israeliane circondano Rafah e sono pronte a un assalto che non piace né a Joe Biden, né all’Unione europea né alle Nazioni Unite (che hanno parlato di “prospettiv­a terrifican­te”), l’esecutivo è impegnato nel negoziato con Hamas per il rilascio dei rapiti e lo stop alle ostilità. Il premier tira dritto sull’assedio, e ieri sui media Usa sono trapelate nuove indiscrezi­oni sulla frattura sempre più netta tra lui e il presidente Usa. I rapporti sono ormai ai minimi termini. E Washington è preoccupat­a dal rischio che la possibile catastrofe umanitaria a Rafah si trasformi in un focolaio di tensioni che coinvolge anche l’Egitto.

Oggi sono attesi nuovi colloqui al Cairo cui dovrebbe partecipar­e anche il direttore della Cia, William Burns. Biden ha già chiarito di essere contrario all’operazione a Rafah e di volere il prima possibile un accordo su ostaggi e tregua. E adesso attende da Netanyahu un segnale di distension­e.

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