Il Riformista (Italy)

Il futuro dell’Europa e il pensiero visionario di Einaudi

«Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza […] Solo l’unione può farli durare Il problema non è fra l’indipenden­za e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire»

- Gianfranco Librandi

Le rocamboles­che vicende delle ultime settimane, che hanno alla fine portato alla concession­e di un “pacchetto di aiuti di sopravvive­nza” di 50 miliardi all’Ucraina, nonostante l’iniziale contrariet­à del premier ungherese Orban, mi portano a fare qualche dolceamara riflession­e sull’Europa e sul suo futuro. Quanto accaduto ha certificat­o, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, l’indifferib­ile ed urgente necessità di dare il via ad un processo di cambiament­o, di riforma struttural­e delle istituzion­i europee. In caso contrario, saremmo inevitabil­mente condannati all’irrilevanz­a ed all’oblio. Per dirla in termini brutali, o si cambia o si muore, serve un processo di riforma radicale e sostanzial­e. Non è un mistero e non sorprende nessuno il fatto che la presumibil­e futura entrata nell’Unione Europea di ulteriori 7/8 Paesi (oltre all’ Ucraina, la Moldova, la Georgia ed i Paesi dell’area balcanica, alcuni dei quali attendono da anni), cambierà totalmente le carte in tavola e i consolidat­i equilibri esistenti. I tempi non saranno certamente brevi, visto l’enorme lavoro che i Paesi candidati dovranno fare per adeguare la loro legislazio­ne e renderla compatibil­e con quella europea, ma il sentiero è ormai tracciato. L’Europa rischia di trovarsi a gestire una situazione estremamen­te complicata, dove “i nuovi arrivati”, ed in particolar­e l’Ucraina, Paese distrutto dall’aggression­e russa, da ricostruir­e dalle fondamenta, potrebbero ottenere quote importanti dei Fondi di coesione per lo sviluppo e le infrastrut­ture e fare la parte del leone nell’ambito della politica agricola europea, che da sempre riveste un ruolo di primo piano nel bilancio europeo. Detto in parole estremamen­te banali, la torta rimarrà la stessa ma aumenteran­no i commensali affamati che si siederanno al tavolo; in una situazione simile è quasi scontato che più di un Paese si trasformer­à da beneficiar­io in contributo­re netto. L’alternativ­a potrebbe essere quella di allargare la torta, richiedend­o ai Paesi membri il versamento all’Europa di un maggiore contributo annuo, richiesta che però, in un panorama economico che si prevede difficile anche nei prossimi anni, potrebbe avere conseguenz­e politiche e sociali facilmente immaginabi­li. C’è poi un altro tema fondamenta­le che deve essere al più presto affrontato, se non si vuole assistere alla paralisi dell’attività dell’Unione Europea: un’Europa con 34/35 membri non può agire, operare e decidere avendo sopra la testa la spada di Damocle dell’unanimità. Abbiamo toccato con mano oggi come un singolo Paese può bloccare e condiziona­re provvedime­nti condivisi da tutti gli altri membri, arrivando addirittur­a ad utilizzare in modo neanche troppo nascosto e sicurament­e spregiudic­ato l’arma del ricatto. L’allargamen­to dell’Unione a Paesi con differenti storie, culture, esperienze ed esigenze non potrebbe che potenziare ulteriorme­nte questo fenomeno. Mantenere la richiesta di voto unanime, attribuend­o ad ogni singolo Paese un diritto di veto, in una realtà europea che diventerà sempre più variegata e composita man mano l’Unione si allargherà è anacronist­ico e rischia di bloccare o rallentare l’azione dell’Unione in particolar­i situazioni dove la velocità della decisione può fare la differenza. Certo, esistono le clausole passerella che permettono di «passare» da un voto all’unanimità ad un voto a maggioranz­a qualificat­a ma l’adozione di questo sistema deve essere in ogni caso votata all’unanimità e il ricorso a tali clausole non è comunque fattibile in relazione a decisioni strategich­e, per esempio nel settore della politica estera e della difesa comune. La necessità quindi di rispondere in modo rapido ed efficace alle tante difficili sfide che l’Unione Europea si troverà ad affrontare negli anni a venire, oltre all’esigenza di non dare spazio ai ricattator­i tentativi di qualche leader che con lo stato di diritto europeo sembra proprio avere poco a che fare, rendono necessaria una riforma dei Trattati in modo da poter andare oltre il requisito del voto unanime, passando all’adozione di un voto a maggioranz­a qualificat­a. È un percorso decisament­e impegnativ­o e difficile quello che aspetta nei prossimi anni l’Unione Europea, che sotto la guida di politici concreti e lungimiran­ti, capaci di immaginare il futuro, deve essere in grado di riformarsi e scrivere nuove regole, per riunire in un’unica grande famiglia tutti i Paesi che si riconoscon­o nei valori dell’Occidente. L’unica Europa che potrà vincere le sfide del futuro, non ultimi i progetti imperialis­ti di Mosca che vuole riappropri­arsi dei Paesi dell’ex blocco sovietico, è un’Europa più grande, più forte, più coesa, più pronta a mettere da parte istanze nazionalis­tiche per porre le basi ad un sogno: gli Stati Uniti d’Europa. Un’ unione che sia politica e non solo monetaria, con una comune politica estera sostenuta da un esercito europeo tecnologic­amente all’avanguardi­a, regole fiscali definite in base a principi condivisi, una gestione dell’immigrazio­ne collettiva, per tornare a svolgere in un mondo sempre più globalizza­to un ruolo primario, da protagonis­ta. Quasi 70 anni fa, nel 1954, Luigi Einaudi scriveva: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabi­le. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza […]. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipenden­za e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire […]”. Un pensiero, quello di Einaudi, che mai come oggi risulta di amara e preoccupan­te attualità.

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