Il Riformista (Italy)

Il tempo della diplomazia NESSUN BAVAGLIO

Nordio non blocca in alcun modo il lavoro dei giornalist­i

- Matteo Renzi

La guerra non è la prosecuzio­ne della politica con altri mezzi, come diceva Von Clausewitz. Per me la guerra è la negazione della politica: la guerra arriva quando la politica fallisce. Ci sono dei momenti in cui combattere è doveroso eticamente e persino politicame­nte. Ma la politica deve trovare una strada per risolvere i conflitti.

Oggi in Ucraina e in Medio Oriente arriva il tempo della politica e della diplomazia. Questo non significa negare che vi siano torti e ragioni. L’invasione russa dell’Ucraina è inaccettab­ile. Due anni fa Putin si è seduto dalla parte del torto e la Storia non glielo perdonerà. E noi abbiamo il dovere di inviare le armi agli ucraini perché se smettiamo di farlo non è scompare la guerra: scompare l’Ucraina. Ma è anche giusto provare a chiudere un accordo credibile prima che lo faccia tra qualche mese con toni sbrigativi Donald Trump.

Ora è tempo di politica e di diplomazia per garantire a Kiev la libertà al fianco dell’Unione Europea ma trovando con Mosca una soluzione che fermi il massacro. Il 7 ottobre Hamas ha realizzato la più atroce strage di Ebrei dai tempi del Nazismo. E lo ha fatto con modalità talmente orripilant­i da non poter essere nemmeno commentate. Oggi è chiaro a tutto il mondo che il sistema dei tunnel che partono dalle scuole, dagli ospedali, persino dalle sedi delle Nazioni Unite costruito con i soldi della comunità internazio­nale è una vergogna planetaria. Ma è altrettant­o chiaro che per sconfigger­e Hamas, Israele ha bisogno di non perdere i leader arabi riformisti e moderati. E l’intera comunità internazio­nale. Ecco perché è tempo di un accordo di pace duraturo, la pace dei figli di Abramo come l’avrebbe chiamata Giorgio La Pira. Una pace che preveda per Israele il diritto e anche una sorta di dovere morale di esistere: il mondo ha bisogno di questa nazione, di questo popolo, di questa storia che si fa futuro. Una pace che passi dal riconoscim­ento dello stato di Palestina, sostenuto e sovvenzion­ato dai paesi arabi riformisti che investano in scuole e non in tunnel, in ospedali e non in missili, in infrastrut­ture e non in kamikaze. Una pace che veda puniti i responsabi­li di Hamas: davanti ai tribunali internazio­nali deve finirci Sinwar, sempre che sia ancora vivo, non Netanyahu. Bibi più sempliceme­nte deve andare a casa e lasciare il Governo di Israele a un leader rispettato e capace di parlare in Patria e all’estero. E su questo, mia umile opinione, segnatevi il nome di Yossi Cohen, già collaborat­ore del Premier israeliano e soprattutt­o già capo del Mossad.

Sono solo sogni in libertà? Forse. Ma se ci fosse qualcuno in grado di occuparsi di politica estera, a Roma come a Bruxelles, questi sogni diventereb­bero progetti. E l’Italia e l’Europa avrebbero un ruolo. Invece qui il massimo di accordo che si può fare è su una mozione condivisa tra Meloni e Schlein, ottima notizia per i media italiani. Ma la politica estera è un’altra cosa. Qualcuno lo capirà?

“Non c’è nessuna legge bavaglio”, ha detto ieri la senatrice di Italia viva Raffaella Paita, coordinatr­ice nazionale del partito, durante le dichiarazi­oni di voto alla Legge di delegazion­e europea, smorzando così le polemiche di chi da giorni evoca scenari da regime cileno sulla libertà di stampa con l’introduzio­ne del divieto di pubblicare integralme­nte il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare.

“Il racconto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare che finisce sui giornali costituisc­e il punto di vista dell’accusa - ha spiegato Paita - è una ricostruzi­one unilateral­e che non tiene in conto la posizione della difesa”.

La senatrice, a tal proposito, ha ricordato cosa avvenne quando venne coinvolta in procedimen­to penale, con il contenuto degli atti giudiziari interament­e finito sui giornali.

“Il lavoro giornalist­ico non costituisc­a un copia-incolla ma la ricostruzi­one della verità. Non stiamo chiedendo alla stampa di non pubblicare le notizie, ma di pubblicare un racconto che tenga in conto accusa e difesa, perché il dibattimen­to nel momento della pubblicazi­one non sarà ancora iniziato, a garanzia del principio di innocenza e quello della separazion­e dei poteri. Esiste il diritto a conoscere ma esistono anche il diritto a tutelare le vite umane e il principio di verità”, ha poi aggiunto la coordinatr­ice di Italia Viva. Concetto ribadito dal senatore Pierantoni­o Zanettin, capogruppo di Forza Italia in Commission­e giustizia a Palazzo Madama,

secondo cui “il divieto di pubblicazi­one del testo dell’ordinanza di custodia cautelare era vigente fino al 2017 ma non aveva mai scatenato indignazio­ne o dubbi di costituzio­nalità: non si comprende il clamore mediatico che si è voluto a tutti i costi creare, essendo una norma di buonsenso che ha il solo scopo di evitare che finiscano sui giornali le intercetta­zioni integrali riportate nell’ordinanza, danneggian­do spesso irrimediab­ilmente l’immagine o la reputazion­e di chi, in quelle intercetta­zioni, è coinvolto o citato”. La pubblicazi­one di virgoletta­ti delle intercetta­zioni, va ricordato, è un fenomeno che non accade in nessun altro paese al mondo tranne l’Italia. Spesso i virgoletta­ti contengono battute ironiche, doppi sensi, espression­i gergali, talora anche di cattivo gusto o addirittur­a scurrili, che decontestu­alizzati sono finalizzat­i solo alla pubblica denigrazio­ne dei soggetti coinvolti. “Questa norma non vieta affatto ai giornalist­i di fare il loro lavoro, vieta solo il cosiddetto copia e incolla del provvedime­nto. Al giornalist­a non verrà vietato di parlare dell’ordinanza di custodia o dei suoi contenuti, di illustrarl­a anche nei dettagli, di commentarl­a, ma dovrà farlo mediante una parafrasi. I bravi giornalist­i non avranno alcun problema ad assicurare la completa informazio­ne dei lettori”. “Probabilme­nte - ha aggiunto Zanettin - troveranno difficoltà i cosiddetti ‘velinari’ delle procure, quei giornalist­i di cronaca che magari non posseggono una penna felice o una scrittura fluente, ma piuttosto sono adusi alle relazioni privilegia­te con avvocati, uffici di Pg o di procura. Insomma, si mantiene il diritto di cronaca ma si cerca di evitare il voyeurismo giornalist­ico”.

Con questo provvedime­nto, passato con 93 voti, 29 contrati e 25 astenuti, l’Italia si uniforma ora al resto d’Europa dove da tempo vigono norme a tutela degli indagati in materia di pubblicazi­one degli atti giudiziari.

Scontate le polemiche della Federazion­e nazionale della stampa, secondo cui calerà il silenzio sul diritto dei cittadini ad essere pienamente informati.

“Il fatto che la gente possa avere un’opinione propria e indipenden­te pare essere la cosa che preoccupa di più i garantisti di facciata. L’Europa chiede tante cose all’Italia: chiede misure contro le querele bavaglio, una governance Rai indipenden­te, retribuzio­ni adeguate per i giornalist­i, eppure di tutte queste cose non c’è traccia nelle battaglie garantiste di politici che difendono il potere”, ha sottolinea­to Alessandra Costante, segretaria nazionale Fnsi, rinnovando l’appello al presidente della Repubblica a non firmare la legge.

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