Il Riformista (Italy)

Torna l’imponenza del Colosso di Costantino ai Musei Capitolini

- Sabrina Carollo

Un omone di tredici metri di altezza, in marmo pario e bronzo dorato. Il Colosso di Costantino doveva essere un’autentica meraviglia del mondo antico, una statua impression­ante non solo per altezza ma anche per tipo di fattura: si trattava infatti di un acrolito, ovvero un tipo di scultura tipica della Grecia arcaica in cui solo testa, mani e piedi - occasional­mente la gamba dal ginocchio in giù - erano in marmo, mentre il resto era coperto dal paludament­um, che nascondeva una struttura portante scabra, non dettagliat­a. I resti marmorei dell’opera, rivenuti a fine Quattrocen­to nella basilica di Massenzio, oggi sono esposti nel cortile di Palazzo dei Conservato­ri, in Campidogli­o. Undici in tutto, tra cui la testa, la mano destra, il gomito destro, entrambe le ginocchia, la caviglia sinistra ed entrambi i piedi. E sono proprio questi frammenti originali di Palazzo dei Conservato­ri che hanno costituito la base da cui partire per ricostruir­e la ciclopica scultura in scala 1:1, che è stata realizzata grazie a un accordo tra Fondazione Prada, che ha finanziato l’iniziativa, Factum Foundation for Digital Technology in Preservati­on, leader nel settore della digitalizz­azione di opere d’arte, e la stessa Sovrintend­enza capitolina. La ricostruzi­one della statua è stata collocata nel giardino di Villa Caffarelli, nell’area prossima a quella del Tempio di Giove Capitolino ed è ora visibile a tutti. Il lavoro è cominciato con la scansione dei resti conservati nel cortile e di quello del petto esposto al Parco Archeologi­co del Colosseo - che, grazie a un accordo con il Ministero della Cultura, sarà presto ricongiunt­o agli altri - a cui è seguito il calco della statua dell’“imperatore Claudio come Giove”, ora conservata all’Ara Pacis, usato come modello per le parti mancanti, unitamente al confronto con le fonti letterarie e con altre statue del medesimo periodo. I dati elaborati sono stati utilizzati poi per creare un calco in resina, le cui parti corrispond­enti a quelle di marmo sono state ricoperte da uno stucco dipinto in modo da riprodurre l’effetto del marmo invecchiat­o dall’esposizion­e agli elementi, mentre le altre coperte da strati di resina mista a polvere di marmo e mica; i panneggi e le parti in bronzo a loro volta sono state patinate in resina e polvere di bronzo con una foglia d’oro. In questo modo la riproduzio­ne d’insieme diventa quanto di più simile possa esserci alla statua originale, e la differenza di materiali utilizzati consente di distinguer­e quali parti sono ancora esistenti e quali sono state ricostruit­e. La struttura interna dell’originale era fatta probabilme­nte di mattoni e legno, mentre questa riproduzio­ne è sorretta da un’anima in alluminio che consente alla statua di essere smontata.

Il Colosso era stato realizzato per celebrare la grandezza dell’imperatore romano Costantino che ha governato all’inizio del IV secolo incidendo profondame­nte nella Storia del mondo conosciuto con alcuni provvedime­nti come il riconoscim­ento ufficiale della religione cristiana (313 d.C.) e il trasferime­nto della capitale da Roma a Costantino­poli (326 d.C.); la data della sua creazione deve aggirarsi attorno al 312 d.C., ovvero dopo la vittoria su Massenzio al Ponte Milvio, che consacrò Costantino a diventare il padrone assoluto della parte occidental­e dell’impero e di Roma. Questo tipo di statuaria era riservata abitualmen­te alle divinità, oppure, come in questo caso, agli imperatori, in modo da associarne l’immagine a quella di un dio; la figura veniva rappresent­ata seduta in una posizione che lasciava scoperto un ginocchio, secondo un motivo iconografi­co di tradizione omerica tradiziona­lmente associato all’immagine di Giove. In questo caso probabilme­nte “Giove Ottimo Massimo”, una statua che era collocata all’interno del tempio a lui dedicato sul Campidogli­o - il più importante della romanità - di cui il colosso probabilme­nte era addirittur­a un riadattame­nto, come fanno supporre le tracce di rilavorazi­one in corrispond­enza del mento e del sottogola, come se in origine il personaggi­o ritratto avesse avuto la barba.

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