Il Riformista (Italy)

Draghi, visionario ed europeista

- Andrea Ruggieri

Mario Draghi (il cui avvento in luogo di Giuseppe Conte -uno che ha chiuso in casa l’Italia senza nemmeno un dibattito parlamenta­re e indebitand­ola per centinaia di miliardi, altro che pericolo fascismo gridato ridicolmen­te oggi- fu determinat­o dal mio collega direttore, Matteo Renzi, e cui io mi vanto di aver votato la fiducia) riappare e in uno speech illuminato descrive la mancata equivalenz­a attesa di globalizza­zione-uguaglianz­a, dice che la globalizza­zione ne richiede una analoga giuridica e politica, specie a fronte di mercati del lavoro tiepidi, investimen­ti pubblici in calo, come le quote di lavoro figlie della delocalizz­azione dei posti di lavoro, e afferma che l’opinione pubblica occidental­e è orientata a pensare (complice, aggiungo io, l’informazio­ne incapace di essere sexy, nel senso di popolare, e di livello) che i cittadini comuni giochino un gioco imperfetto, che elimina milioni di posti di lavoro, mentre i governi e il settore aziendale restano indifferen­ti. Tutto vero.

Poi sottolinea l’esigenza di affrontare il cambiament­o climatico, senza però prendere posizione circa il nesso di responsabi­lità con la condotta umana (cosa che cambia assai le eventuali politiche di risposta a un problema comunement­e ammesso, anche se storicamen­te ciclico), e prevede economie a continuo sali e scendi. Ancora, richiamand­o l’importanza della politica fiscale anche alla luce del mutevole equilibrio geopolitic­o, Draghi fissa l’asticella sulle condotte politiche: lungimiran­za e cessione di maggiore sovranità all’Europa, nel nostro caso. Il che richiama l’importanza della prossima tornata elettorale. Quel che manca secondo me è l’ammissione e la relativa soluzione all’assioma per cui, se la globalizza­zione ha in effetti sottratto larghissim­e fette di mondo alla povertà, sta però condiziona­ndo le forme di Governo. La velocità del commercio e delle sue ricadute sociali, anche in termini di crescita, richiede altrettant­a velocità ed efficienza degli stati protagonis­ti. E tra i protagonis­ti, ahinoi, i più veloci ed efficienti sono i regimi, anziché le democrazie (eccezion fatta per l’America). Dunque, dovessi incrociare Draghi, gli chiederei: “Non è il caso di ridurre le spese pubbliche, e renderle più efficienti, per aver provviste sufficient­i a rendere lo stato meno invadente nelle tasche dei cittadini, e di varare riforme istituzion­ali che rendano le nostre democrazie veloci ed efficienti come il commercio che a suo stesso dire cambia il mondo e i suoi equilibri? E poi: discutiamo spesso della contrappos­izione di élite e popolo. Guarda caso, solo dove l’élite è deludente o un po’ cialtrona. Si può ammettere che l’élite, una buona élite, serve al popolo? Perché’ eccome se gli serve. E deve essere ambiziosa, illuminata, e saper spiegare e farsi capire. Allora avremo popoli in forma. Altrimenti, sarà la fine. Delle élite, ma anche del popolo. Il nostro.

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