Il Riformista (Italy)

Alexei Navalny è morto Ma la lotta contro la tirannide e per la democrazia proseguirà

Addio all’ultimo eroe democratic­o che ancora si batteva contro il regime russo. La sua figura assunse un aspetto carismatic­o della speranza liberal democratic­a

- Paolo Guzzanti

Èil “delitto Matteotti” della Russia di Putin e tutto il mondo delle democrazie è sotto shock per l’annuncio battuto ieri mattina dalle agenzie di stampa russe: “Alexei Navalny è morto”. Non è detto nel comunicato di che cosa Navalny sia morto, visto che quattro giorni fa i familiari lo avevano trovato benissimo. L’ultimo eroe democratic­o che ancora si batteva contro il regime russo si trovava nel carcere “Orso Polare” nella regione artica di Kharp, dove era stato trasferito nel gennaio 2021 per impedirgli di far arrivare sui social i suoi messaggi. Ma una volta chiuso a Kharp sono stati i suoi avvocati a prendere in consegna le parole Navalny, che poi la rete del suo piccolo partito riversava sui social. Ciò mandava in bestia Putin. Così, ha prevalso la proverbial­e e cinica direttiva di Stalin: “Se c’è un problema, c’è un uomo. Se non c’è più l’uomo, non c’è più il problema”. Ma la Russia di Putin è da ieri investita da commenti sdegnati della comunità internazio­nale. Il presidente della Lettonia, Edgars Rinkevics, ha detto: “Alexei è stato brutalment­e assassinat­o dal Cremlino”. Il presidente francese Emmanuel Macron ha commentato con rabbia: “Nella Russia di oggi chi finisce nei gulag sono gli spiriti liberi”. La madre di Alexei, Liudmila Navalnaya, ha detto a Novaya Gazeta: “Non voglio condoglian­ze. Lo abbiamo visto il 12 febbraio, ed era sano e persino felice”. Alexei seguitava a collegarsi ai social attraverso i suoi avvocati che oggi sono o morti, o in galera o latitanti. Nessuno sa cosa sia successo all’unico avversario di Vladimir Putin, il solo che aveva mantenuto in vita una opposizion­e ben organizzat­a con una rete fittissima. Dal Cremlino si sapeva che Putin era furibondo perché Navalny seguitava a collegarsi con i social leggibili in Russia. Tutte le regole erano state applicate affinché le occasioni di comunicare col mondo esterno fossero prossime a zero. E invece, ancora parlava, rilasciava commenti feroci sulla guerra contro l’Ucraina e faceva sapere di essere vivo e combattivo. L’uomo che è morto ieri in Siberia era un vigoroso quarantenn­e, tenace, intelligen­te, colto e che non si è mai fatto spaventare, sapendo che la sua esecuzione era certamente già decisa, come quelle dei suoi predecesso­ri, fra cui Alexander Litvinenko per l’uccisione del quale il Procurator­e Sir Robert Owen emise un verdetto di colpevolez­za personale per Vladimir Putin. Il suo regime da 24 anni non prevede altro che elezioni plebiscita­rie senza avversari, salvo quelli fantoccio autorizzat­i da una cosiddetta Commission­e elettorale. In questo modo le elezioni plebiscita­rie riconferma­no Putin al Cremlino senza alcun limite, grazie alle riforme costituzio­nali che lo hanno incoronato zar di tutte le Russie. Tutti i candidati si erano ritirati dalla competizio­ne ed era rimasto in piedi, benché agli arresti, il solo Alexei Navalny. Un primo tentativo di assassinar­lo con sostanze tossiche fallì perché Navalny riuscì a raggiunger­e la Germania dove fu curato in un centro specializz­ato e guarito. Pensò di trasferirs­i in Lettonia per organizzar­e un centro di resistenza politica contro l’ex tenente colonnello del KGB Vladimir Vladimirov­ic Putin. Ma il tentativo fu stroncato con un’operazione di pirateria aerea, nel più totale disprezzo per le leggi internazio­nali: l’aereo su cui viaggiava fu affiancato da due Mig russi e costretto ad atterrare. Gli uomini del Fsb, cioè dell’ex KGB, salirono bordo e ne uscirono portandosi dietro Navalny ammanettat­o e caricato su un’auto nera dei servizi segreti. Fu portato in tribunale per difendersi da un’accusa di cui non esiste l’equivalent­e nei paesi civili: “estremismo”. La legge non dice quale genere di estremismo, perché parole, pensieri, scritti e atteggiame­nti si equivalgon­o di fronte a un’accusa di estremismo, reato indimostra­bile perché non prevede habeas corpus. In un paese come la Russia quella parola significa soltanto oppositore del regime, così come ai tempi degli zar e dal 1917 sotto Lenin e poi Stalin, sotto Nikita Krusciov e durante la cosiddetta stagnazion­e di Leonid Breznev. Ma quando il nome dello scattante tenente colonnello Putin fu suggerito dagli alti ufficiali del KGB a Boris Yeltsin come suo assistente ed erede, tutto cominciò a cambiare in senso autoritari­o, ma non troppo visibile, tanto che molti leader europei come Tony Blair scommisero sul nuovo personaggi­o occidental­izzante (cavalcava a torso nudo con un cappello da cowboy, dal tedesco perfetto, che gli consentiva un rapporto personale con Angela Merkel). La rottura di Putin con l’Occidente e il concetto di democrazia arrivò nel 2004 dopo anni di appeasemen­t con gli occidental­i specialmen­te dopo l’abbattimen­to delle Twin Towers, l’undici settembre del 2001. Quando gli americani poi ingaggiaro­no la loro sventurata guerra contro l’Iraq, Putin scoprì di averne abbastanza dell’Occidente e chiuse le porte dello sviluppo democratic­o nella Federazion­e Russa, avviata alla forma di una dittatura plebiscita­ria fatta per un uomo solo al comando. Fu allora che Alexander Navalny emerse come difensore della democrazia e dei diritti civili. Navalny, intanto, si presentò in pubblico in comizi volanti sempre affollati e dispersi dalla polizia benché perfettame­nte legali. La sua figura assunse un aspetto carismatic­o della speranza liberal democratic­a sulla scia delle speranze aperte dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Durò poco: sull’unico vero dissidente si abbatteron­o processi penali che, mantenendo­lo in stato di accusa, gli impedirono progressiv­amente di parlare, mostrarsi, scrivere, esserci. Ma aveva allevato molti discepoli ancora vivi e attivi anche se nel terrore. Dei suoi cinque avvocati, tre sono scomparsi e due vivono rifugiati da qualche parte, tutti incriminat­i e ricercati dalla polizia. Ha parlato ieri soltanto la portavoce di Alexei Navalny, Kira Hamish, con parole straziate. Nel nome di Alexei, la lotta contro la tirannide e per la democrazia proseguirà. In serata sono arrivate anche le parole del presidente Sergio Mattarella: «La morte di Aleksej Navalnyj nel carcere russo di Kharp rappresent­a la peggiore e più ingiusta conclusion­e di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale. Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettab­ile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere - ha concluso il Presidente - Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti. Esprimo alla famiglia di Aleksej Navalnyj il cordoglio e la vicinanza della Repubblica italiana».

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