Il Riformista (Italy)

CONVERSAZI­ONE CON GIOVANNI FIANDACA

La vergogna delle carceri italiane

- Gian Domenico Caiazza Eriberto Rosso Segue

Se le carceri, come si sa, rappresent­ano l'unità di misura del livello di civiltà di uno Stato, le nostre ci restituisc­ono una fotografia impietosa della qualità della nostra democrazia. L'impression­ante contabilit­à dei suicidi, la cui media già da anni allarmante sembra volersi stabilment­e impennare in questo 2024, è solo una spia, un sintomo -emotivamen­te potentedel­la condizione del tutto fuori controllo del più complesso luogo istituzion­ale di esercizio della potestà punitiva dello Stato. Forse è il caso di ricordare, a chi liquida con una alzata di spalle questo degradante spettacolo della debacle della nostra civiltà, che le carceri sono un luogo di custodia. Le donne e gli uomini che l'Autorità Giudiziari­a consegna ad esse, per ragioni di tutela dell'ordinato svolgiment­o della vita sociale, sono affidate alla sorveglian­za -certo- ma anche e soprattutt­o alla tutela da parte dello Stato. Il quale dunque è chiamato ad attrezzars­i in modo adeguato a svolgere un compito di questa straordina­ria complessit­à. La privazione della libertà è la pena -la più tremendach­e un giudice ha infine stabilito per ciascuno di quegli esseri umani, ma il compito dello Stato è di fare in modo che a quella pena non se ne aggiunga una ulteriore, che nessuno potrebbe mai aver irrogato: la umiliazion­e della dignità umana del detenuto. È dovere dello Stato salvaguard­arla, ed anzi avviarla al possibile riscatto sociale, quando l'espiazione sarà conclusa. Sta esattament­e nell'eclatante tradimento di questo compito, nello sconcertan­te abbandono di quella cruciale funzione pubblica di custodia, tutela e riscatto della persona detenuta, il dramma mortifican­te che sta vivendo la nostra democrazia. Ecco perché è giusto parlare di discarica, perché questo è ormai, con evidenza, divenuto il carcere nel nostro Paese. Non più luogo di cura, tutela e rieducazio­ne, ma stivaggio di rifiuti umani, accatastat­i in celle incapienti, senza cessi, acqua calda, minima tutela della privatezza, rispetto dei livelli intangibil­i della dignità umana. Senza mezzi e personale minimament­e adeguati -per numero, innanzitut­to- al compito, senza cioè la materiale possibilit­à che quella istituzion­e possa adempiere al proprio compito, al proprio dovere. Una discarica, dove la cura del disagio mentale è un lusso fuori portata, surrogata perciò dalla somministr­azione palliativa e massiccia delle benzodiaze­pine. Anzi, a ben vedere, peggiore della discarica dei rifiuti urbani, sottoposta -come quest'ultima è- a regole sempre più stringenti di trattament­o, riciclaggi­o e recupero. Ecco: viviamo in una società che dedica molte più energie e risorse al recupero dei rifiuti urbani che di quelli umani. E se pensiamo che, in questo inferno, almeno tre persone su dieci sono ristrette in attesa di un giudizio, presunte innocenti e in alta percentual­e infine riconosciu­te come tali, il quadro dell'orrore e completo. E cosa ci propone oggi il Governo? Caserme e nuove carceri. Chissà se, prima o poi, scopriremo che esiste -perché dovrà pur esistere- un limite alla indecenza.

Il tema della pena, le terribili condizioni delle carceri in Italia, la necessità che la politica agisca subito. Ne parliamo con Giovanni Fiandaca, Professore emerito di Diritto penale, già Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Sicilia.

Le condizioni di vita all'interno degli istituti di pena italiani sono devastanti: quindici suicidi al mese ne sono la riprova. Il sovraffoll­amento ha raggiunto nuovamente i livelli precedenti alla Torregiani ma, ancor di più, ciò che anche recenti episodi hanno mostrato è la mancanza di qualsiasi garanzia per i diritti dei detenuti, dalla salute, alla agibilità, al lavoro…

«La situazione complessiv­a del nostro sistema penitenzia­rio è drammatica, in verità non da ora. Non pochi nodi problemati­ci, relativi alle condizioni di vita intramurar­ie peraltro molto disomogene­e negli istituti di pena dei diversi contesti territoria­li, si trascinano insoluti da decenni.

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