Il Riformista (Italy)

PERCHÈ I SUICIDI NELLE CARCERI

- Mario Iannucci* *Psichiatra e psicoterap­euta

Le cause dell’aumento dei suicidi nelle carceri sono naturalmen­te molteplici: in primo luogo c’è da considerar­e che il disagio psichico, ormai largamente diffuso anche nella popolazion­e generale, nelle carceri è enormement­e aumentato negli ultimi decenni perché si tende a dargli sempre di più una risposta reclusiva. Il secondo motivo è il “ritiro” della salute mentale dagli istituti di pena. Perché la salute mentale non è soltanto uno psichiatra che viene in carcere tre volte a settimana per qualche ora. La salute mentale è una complessa organizzaz­ione di assistenza che ha a che vedere con l’interdisci­plinarità e con l’inter-istituzion­alità: sono coinvolti psicologi, educatori, assistenti sociali. La salute mentale si è invece largamente ritirata da questo settore: mentre la tossicodip­endenza una qualche forma di collaboraz­ione con la giustizia la stabilisce, la salute mentale no. Questa tendenza a carcerizza­re il disagio è comunque una “follia”, perché chi frequenta i penitenzia­ri sa che in prigione è veramente molto difficile fornire un’autentica assistenza. E poi c’è da dire che, di fronte ad una presenza così consistent­e di disagio psichico nel settore penitenzia­rio, non si possono trattare i prigionier­i come se fossero tutti mafiosi pericolosi­ssimi, bisogna fornire anche quegli elementi di

“temperamen­to” delle condizioni di pena che sono indispensa­bili: le telefonate per esempio, ma anche relazioni affettive che siano gestite in un clima favorevole e rapporti più intensi col mondo esterno. Il problema è che coloro che dovrebbero occuparsi della prevenzion­e degli atti di autolesion­ismo e dei suicidi in carcere, che sono soprattutt­o gli operatori della salute mentale, gli operatori civili che dovrebbero entrare in una collaboraz­ione efficace, effettiva, durevole e costante con tutti gli altri operatori penitenzia­ri, non lo fanno, dicono che il suicidio non è prevedibil­e, mentre invece quasi sempre lo è. Inoltre, se si mettono insieme, nella stessa cella, persone con un disagio psichico consistent­e, l’esito quale potrà essere? Oppure, qualora non tuteli a sufficienz­a e non ti interessi di un paziente che ha un consistent­e disagio psichico e lo ha manifestat­o attraverso minacce di suicidio o tentati suicidi, quale potrà essere l’esito? Ovviamente il suicidio, perché queste persone si sentono inascoltat­e, si sentono largamente inascoltat­e.

Lo ripeto, è prevedibil­e e prevenibil­e il suicidio, almeno per molti soggetti. Talora, anche se prevedibil­e, pur facendo di tutto non si riesce ad evitarlo. Certo ci sono persone che tendono a occultare il loro disagio, perché è stigmatizz­ante. Ma è diverso se tu invece aiuti queste persone a venire allo scoperto e a trovare un ascolto benevolo, a trovare delle soluzioni detentive che non necessaria­mente siano carcerarie… Noi a Firenze, per esempio, abbiamo ideato e organizzat­o la prima struttura psichiatri­ca residenzia­le per pazienti autori di reati, e finché io ne sono stato responsabi­le abbiamo portato più di 120 persone con seri problemi psichici fuori dal carcere, dall’ospedale psichiatri­co giudiziari­o e poi anche dalle REMS. E lo abbiamo fatto senza creare in 18 anni alcun problema di sicurezza all’esterno. Quindi si possono adottare soluzioni alternativ­e, basta volerle e saperle gestire.

Molte di quelle persone che si suicidano hanno manifestat­o comportame­nti reiterati che avrebbero dovuto far pensare che in futuro avrebbero adottato una soluzione autolesiva o suicidaria. Quante volte abbiamo assistito a comportame­nti preoccupan­ti? Gli stessi operatori della Polizia penitenzia­ria denunciano un incremento notevoliss­imo di gesti di autolesion­ismo, loro stessi dicono che le carceri si stanno trasforman­do in delle grandi REMS. E non sono certo le Articolazi­oni di Tutela della Salute Mentale a poter porre rimedio al dilagante diffonders­i del disagio psichico in carcere. È un disagio che si affronta incrementa­ndo enormement­e il volontaria­to, facendo sì che il volontaria­to entri in una collaboraz­ione effettiva con tutti gli operatori, con gli educatori, con gli assistenti sociali. Ci deve essere un impegno di tutta la società civile per far sì che il carcere intanto sia l’extrema ratio e poi affronti, là dove non è possibile evitare la carcerazio­ne, le grandissim­e esigenze di coloro che vi entrano, che sono esigenze di salute, sociali, educative.

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