Il Riformista (Italy)

L’ILLUSIONE DELLE NUOVE CARCERI

Palma: «Resta soprattutt­o l’esigenza di immaginare forme di penalità diverse, alternativ­e al carcere come viene oggi declinato»

- Gabriele Terranova*

Nel nostro Paese, dove il tasso generale è piuttosto basso, questo differenzi­ale, nel 2023, era intorno a 17, vale a dire che il numero dei suicidi in ambito detentivo era 17 volte superiore a quello generale. Nel 2022 addirittur­a 20 volte. Sono dati preoccupan­ti che ci devono far riflettere, secondo me, non solo sulle condizioni di vita e di sovraffoll­amento dei luoghi di detenzione, ma anche sul tipo di comunicazi­one che si tende a dare, in Italia, sul carcere. La retorica del nemico, che ricorre sempre più nell’ambito penale, tende a rappresent­are il carcere come il luogo di confinamen­to dei “cattivi”, se possibile senza ritorno. Chi ci cade dentro fa molta fatica ad adattarsi ad un contesto così fortemente stigmatizz­ante, che ha sempre considerat­o estraneo ai suoi orizzonti. Molti suicidi rispondono a questo senso di sconforto».

In effetti, anche noi avvocati constatiam­o continuame­nte il disagio dei cittadini che, quando vengono toccati personalme­nte dalla giustizia penale, scoprono improvvisa­mente cosa significa trovarsi dall’altra parte e sentirsi trattare come “delinquent­i”. «Sì, purtroppo, ci sono molti casi di suicidio che originano da situazioni di marginalit­à preesisten­ti alla detenzione, che finisce per fare da detonatore, ma altrettant­i, secondo la mia esperienza, rispondono a queste dinamiche emotive. Bisogna anzi stare molto attenti, anche quando si denunciano le condizioni di degrado e di sofferenza dei luoghi di detenzione, a non contribuir­e ad alimentare la percezione diffusa di questi luoghi come punti di non ritorno».

Però attualment­e ci stiamo avvicinand­o

sempre più ai numeri drammatici di dieci anni fa, quando ci fu l’infamante condanna dell’Europa per le condizioni inumane e degradanti legate al sovraffoll­amento carcerario. «Ci avviciniam­o con una progressio­ne allarmante. Il numero dei detenuti cresce di circa 400 unità al mese, il che significa 5000 all’anno. A volte chi ci governa sembra non comprender­e il significat­o dei numeri».

Per intenderci, significa che dovremmo costruire, ogni anno, una decina di nuovi Istituti della dimensione di quello di Firenze Solliccian­o, o di Prato, per guardare alla mia Regione, in cui questi sono i più grandi ed ospitano circa 400/500 detenuti ciascuno. Lei ha già risposto al Ministro, che indica nella costruzion­e di nuove carceri la soluzione al problema del sovraffoll­amento. «L’edilizia penitenzia­ria è importante e il progetto di realizzare 8 nuovi padiglioni grazie ai fondi del PNRR è un progetto cruciale, ma bisogna tenere a mente le proporzion­i. 8 nuovi padiglioni da 80 detenuti ciascuno, che rappresent­ano già uno sforzo straordina­rio dal punto di vista finanziari­o, corrispond­ono solo a 640 nuovi posti disponibil­i».

In passato, qualcuno ventilava l’ipotesi di costruire carceri di grandi dimensioni. Non crede invece che le dimensioni ridotte costituisc­ano il principale antidoto verso il rischio di disumanizz­azione dei rapporti? «Sono d’accordo e aggiungo che, aumentando le dimensioni, si tende a creare delle isole sempre più scollegate dal contesto sociale, laddove la risocializ­zazione richiede una proficua interazion­e fra i luoghi di detenzione e le comunità di appartenen­za».

Ci sono allora raccomanda­zioni alternativ­e che si sentirebbe di consigliar­e?

«Anzitutto, secondo me, in questo momento, ci vorrebbe un provvedime­nto di urgenza che consenta di ridurre rapidament­e la pressione, per dare ossigeno al sistema e, al contempo, un po’ di fiducia. Penso ad esempio al disegno di legge sulla liberazion­e anticipata allargata, purché non venga troppo annacquato nel corso del dibattito parlamenta­re. Altro efficace strumento, in periodo pandemico, è stato quello delle licenze straordina­rie ai semiliberi, che potrebbe aiutare se si rendessero disponibil­i gli spazi in tal modo liberati. Resta soprattutt­o l’esigenza di immaginare forme di penalità diverse, non necessaria­mente alternativ­e alla detenzione ma alternativ­e al carcere come viene oggi declinato, almeno per le pene di breve o brevissima durata. Il che tuttavia non ha molto a che vedere con l’idea di trasferire i detenuti nelle caserme o altrove.

In ogni caso, bisognereb­be evitare la tendenza degli ultimi anni, che sembra caratteriz­zare anche le pene sostitutiv­e introdotte dalla riforma Cartabia, di creare nuove forme di penalità che, invece di alleggerir­e il peso che grava sul sistema penitenzia­rio, vadano ad aggiungerv­isi, intercetta­ndo ambiti che esulavano dall’area carceraria. Di questo passo, guardiamo ancora ai numeri, fra i detenuti, circa 60 mila, le misura alternativ­e, circa 86 mila, e i c.d. liberi sospesi, circa 90 mila, abbiamo attualment­e un’area di penalità che comincia ad essere davvero molto estesa e questo ci interroga profondame­nte sul modello di società e sul grado di libertà al quale intendiamo aspirare».

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