Il Riformista (Italy)

STORIE DI DISPERAZIO­NE

- A CURA DI: ORNELLA FAVERO *RISTRETTI ORIZZONTI

Giovanni era sempre preoccupat­o dallo stile di vita della ragazza e temeva che trascurass­e lui e soprattutt­o i bambini. E dopo una serie di litigi, le aveva chiesto di andare via perché non ce la faceva più a reggere certi comportame­nti. Solo che dopo poco tempo si era ripresenta­ta a casa sua e gli aveva chiesto di riprenderl­a con sé. E lui non aveva avuto il coraggio di mandarla via e si era ripreso lei e i bimbi. So che poi hanno avuto una discussion­e. Io non c’ero, il giudizio rimarrà per sempre “pendente”, sembra che lui l’abbia spinta e lei abbia sbattuto e si sia fatta male. Quindi lei ha chiamato i carabinier­i, lui è stato arrestato, era in custodia cautelare in carcere da venti giorni con l’accusa di maltrattam­enti, e probabilme­nte si è sentito crollare il mondo addosso perché l’ultima cosa che avrebbe voluto era maltrattar­la e che finisse così il suo sogno di una famiglia.

Io ho ricevuto solo una fredda telefonata nella quale mi si diceva “Ci dispiace comunicarl­e che suo fratello si è impiccato in cella”. Così, è entrato vivo, è uscito morto. E non capiamo cosa effettivam­ente sia avvenuto quel 19 novembre dentro a quella cella durante l’ora d’aria nel carcere di Montorio, una domenica di sole qualsiasi.

Giacomo, raccontato da sua madre Stefania

Quando Giacomo ha iniziato a manifestar­e difficoltà a livello comportame­ntale, è finito in comunità, è scappato e poi è stato rinchiuso nel carcere minorile, ed è stata la psicologa del Beccaria la prima a capire qual era il problema, con una relazione molto dettagliat­a in cui aveva rilevato in Giacomo un disturbo borderline della personalit­à.

Racconta Stefania, mamma di Giacomo: “Giacomo

poi è entrato nella spirale delle sostanze, una sorta di automedica­mento, e spesso il Ser.D. tratta i ragazzi che abusano di sostanze come tossicodip­endenti puri, altra cosa che non porta a niente perché bisogna in parallelo trattare il problema di base. Poi mio figlio ha avuto un sacco di ricoveri per pesanti autolesion­ismi, perché magari si innamorava e veniva rifiutato quindi si tagliava pesantemen­te braccia e polsi. Poi ha cominciato a commettere reati e quindi è iniziata la spirale degli arresti e delle comunità che alla fine lo rifiutavan­o perché comunque era un ragazzo difficile da gestire, sia per l’alto rischio di autolesivi­tà sia perché cercava in tutti i modi le sostanze e quindi in questi meccanismi aveva anche delle reazioni aggressive. E poi è finito in carcere… lui aveva avuto una perizia psichiatri­ca in cui era scritto che era inidoneo al carcere, e doveva fare un percorso comunitari­o. Non sbloccando­si questa situazione, con l’avvocato abbiamo cercato la strada della REMS, perché abbiamo visto che rischiava di restare in carcere per tutto il periodo, e infatti è arrivata l’autorizzaz­ione alla REMS e quindi Giacomo era in attesa di essere trasferito. Nel frattempo ha avuto dei ricoveri pesanti per autolesion­ismo, si è tagliato anche l’inguine ed era veramente in una situazione disastrosa, e tra l’altro gli somministr­avano pesanti dosi di benzodiaze­pine, che sono controindi­cate per il disturbo borderline. Poi quando commetteva questi atti lo mettevano nella cella “ad alto rischio” e la situazione è molto peggiorata, ci sono stati degli episodi disastrosi, si è tolta la vita un ragazzo di una cella accanto con cui Giacomo era diventato amico. Questo fatto ha innescato il grilletto, nel senso che lui cercava di lenire il suo dolore devastante in qualsiasi modo, però noi non pensiamo che sia stato un gesto volontario, ma le alte dosi di benzodiaze­pine, come è emerso dall’autopsia, ovviamente hanno amplificat­o l’effetto del gas che ha inalato. Quella notte della morte di Giacomo è stata avvisata l’avvocata, e poi lei ha avvisato noi. E anche questa la trovo veramente una cosa vergognosa. Io poi ho sentito a un evento pubblico il direttore del carcere che parlava di questo dramma in cui loro si trovano a dover gestire situazioni complicate, ma io dico: ci sono famiglie che possono essere una risorsa, invece sono completame­nte escluse, ignorate. Non solo non vengono informate, ma con tutti i tentativi che noi abbiamo fatto, siamo sempre stati scaricati e questo lo riteniamo gravissimo. In tutti gli enti pubblici le famiglie spesso sono sbattute fuori dalla porta”.

Marcos, raccontato dalla sua compagna Marianna

Marcos, il mio compagno, era in carcere a Velletri e aveva chiesto l’isolamento volontario, proprio per non avere problemi, perché gli mancavano solo tre mesi alla scarcerazi­one. Di punto in bianco decidono di mettergli in cella questo ragazzo, perché avevano paura che si sarebbe fatto del male da solo. Alla mattina durante la videochiam­ata lui mi ha raccontato che questo ragazzo era un tipo tranquillo e che glielo avevano messo in cella perché aveva solo cinque giorni da stare lì, poi lo dovevano trasferire in una REMS. Ecco quello che è successo, e poi questo ragazzo ha ucciso a calci e pugni Marcos. Praticamen­te in tutta la documentaz­ione ho letto che si tratta di un ragazzo che non deve essere collocato in cella con nessuno e comunque deve essere guardato 24 su 24, anche perché si era reso protagonis­ta pure nei giorni prima dell’omicidio di atti di violenza, aveva spaccato tre celle.

Loro poi dal carcere praticamen­te si sono appellati al fatto che Marcos aveva accettato di stare in cella con il ragazzo. Ma io credo che se a Marcos fossero stati detti i problemi che veramente aveva questo ragazzo, non avrebbe accettato mai di stare in cella insieme.

Io poi ero tranquilla che Marcos stava lì dentro e non gli sarebbe successo niente, e invece proprio in carcere è successo qualcosa di terribile. Io e Marcos per anni non ci siamo mai separati, e poi così dall’oggi al domani lui non c’è più.

Ma un’altra cosa mi fa soffrire: sono passati otto mesi e a me ancora il carcere deve ridare tutti i suoi effetti personali, le foto che lui aveva attaccato in cella, perché poi io ho visto le foto della Procura che hanno fatto a lui e ho visto le foto mie e sue sul muro, tutte le lettere che aveva sul letto, la collanina, i vestiti, a me non hanno ridato niente.

Mi hanno avvisato verso le 11 di sera, io stavo a casa, praticamen­te mi arriva una telefonata dai carabinier­i, io ero convinta che mi volessero dire che me lo dovevano portare a casa in detenzione domiciliar­e, e invece i carabinier­i mi hanno detto “Suo marito è deceduto”, mi è crollato il mondo addosso.

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