Il Riformista (Italy)

L’UE lancia l’operazione Aspides Angoscia per la famiglia Bibas

Arriva l’ok all’operazione europea: lo scopo è quello di proteggere il traffico mercantile nel Mar Rosso. Le trattative per l’accordo sugli ostaggi sono paralizzat­e

- Lorenzo Vita

Il lancio della missione Aspides, l’operazione europea per il Mar Rosso, segna un primo passo di Bruxelles nelle bollenti acque a cavallo tra Mediterran­eo e Oceano Indiano. Dopo due mesi dall’annuncio, l’operazione, voluta in particolar­e da Italia, Francia e Germania, ha avuto il suo ok definitivo ieri nel Consiglio Affari esteri. Si tratta di una missione “difensiva”, come ripetuto più volte da ministri e funzionari impegnati nel negoziato per delinearne il perimetro. Una missione il cui scopo è quello di proteggere il traffico mercantile nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nello strategico stretto di Bab el Mandeb, e che da mesi è messo a dura prova dall’escalation avviata dagli Houthi dello Yemen. La milizia sciita si è ritagliata dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza un ruolo sempre più centrale nello scacchiere mediorient­ale, al punto che alcuni analisti hanno sottolinea­to che si stia sempre più rendendo autonoma anche dalle scelte dell’Iran, suo tradiziona­le dominus. Ma nonostante il lancio della coalizione internazio­nale a guida Usa, Prosperity Guardian, e nonostante l’avvio di bombardame­nti mirati angloameri­cani contro le postazioni e i missili Houthi, i combattent­i yemeniti non hanno mai cessato gli attacchi contro le navi portaconta­iner o il lancio di droni e missili verso lo Stato di Israele. Aspides, che tecnicamen­te si chiama EuNavFor Aspides, si inserisce in quest’area di crisi con almeno due obiettivi. Il primo è quello tattico: difendere le navi abbattendo droni o barchini lanciati dalle forze Houthi o fungendo sempliceme­nte da deterrente. Il secondo è quello strategico e in definitiva politico: entrare in una partita estremamen­te importante per gli interessi europei ma senza essere legata a doppio filo ai piani statuniten­si. Motivo per cui Aspides, pur coordinand­osi con Prosperity Guardian e la Task Force di Washington per il Mar Rosso, opererà in maniera autonoma. “L’Unione europea risponde rapidament­e alla necessità di ripristina­re la sicurezza marittima e la libertà di navigazion­e in un corridoio marittimo altamente strategico. L’operazione svolgerà un ruolo chiave nella salvaguard­ia degli interessi commercial­i e di sicurezza, per il bene dell’Ue e della più ampia comunità internazio­nale”, ha detto l’Alto rappresent­ante dell’Unione per la Politica estera, Josep Borrell. E in attesa che si entri nel vivo della missione, intanto sono già stati chiariti i ruoli. Il quartier generale sarà nella città di Larissa, in Grecia, il suo comandante è il commodoro greco Vasilios Griparis. Il comando della forza, invece, è stato dato al contrammir­aglio italiano Stefano Costantino.

Mentre l’Europa si muove nello scacchiere navale del Medio Oriente, nell’epicentro della crisi, cioè ai confini di Israele, la guerra continua. E lo fa su più fronti. Nella Striscia di Gaza le truppe israeliane continuano a tenere alta la pressione su Rafah, ultima città a sud dell’exclave palestines­e. Ma nello Stato ebraico a tenere banco sono le drammatich­e immagini trovate dall’esercito e che mostrano il piccolo Kfir Bibas ostaggio insieme alla madre e al fratello Ariel. La scena risale ai primi giorni del conflitto, e oggi il governo israeliano non sa dire se il bambino, il più piccolo tra gli ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas, sia ancora vivo. Il gruppo palestines­e ha annunciato il decesso della famiglia, ma i funzionari israeliani non sono mai riusciti ad avere conferme, pur ribadendo, anche ieri, di essere seriamente preoccupat­i. “Il rapimento di bambini è un crimine contro l’umanità e un crimine di guerra. Ariel e Kfir sono vittime di un male mostruoso. Tutta la nostra famiglia è diventata ostaggio”, si legge in una dichiarazi­one della famiglia dei rapiti. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha commentato i fotogrammi definendol­i “strazianti”, e ha promesso di consegnare alla giustizia i rapitori: “Non la faranno franca”. Ma per il premier israeliano si tratta ora di capire non solo come trovare i rapitori, ma anche come arrivare alla liberazion­e di chi è ancora nelle mani di Hamas. Le trattative per l’accordo sono paralizzat­e. Il generale Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra ma anche leader dell’opposizion­e, ha detto che le Israel defense forces lanceranno l’offensiva su Rafah se entro l’inizio del Ramadan non ci sarà la liberazion­e degli ostaggi. Il tempo non è un alleato per l’intesa, come suggerito anche dalle personalit­à che hanno preso parte ai colloqui in Egitto. E il livello della tensione tra i vari attori non accenna a diminuire. Ieri Netanyahu ha chiarito che “con o senza un accordo definitivo, Israele manterrà il pieno controllo della sicurezza su tutta l’area a ovest del Giordano”. Includendo quindi anche la Striscia di Gaza ma soprattutt­o lanciando un chiaro segnale anche a Washington. Inoltre la notizia delle limitazion­i per la moschea di Al-Aqsa per questioni di sicurezza (scelta che secondo i media israeliani sarebbe stata criticata dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, e dallo stesso Gantz) ha scatenato l’ira dei palestines­i, con Hamas che ha invocato la mobilitazi­one generale. Ieri il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestines­e, Riyad

Al-Malki, ha denunciato Israele alla Corte internazio­nale di giustizia per “colonialis­mo e apartheid”. Il governo ha respinto le accuse parlando di “una realtà fondamenta­lmente distorta”. Ma il segnale è che il dialogo sia azzerato anche tra Israele e Anp. A preoccupar­e, poi, è anche il fronte nord con il Libano. Ieri le forze armate israeliane hanno bombardato “depositi di armi appartenen­ti al gruppo terroristi­co Hezbollah” non lontano da Sidone, circa 40 chilometri a sud della capitale Beirut. L’attacco rientra in quel conflitto latente tra la milizia sciita e Israele che si è acceso con il 7 ottobre e che continua a colpi di missili da parte di Hezbollah e raid da parte delle Idf. Ma il fatto che il mirino israeliano si sia spostato più a nord del solito conferma i timori di un ampliament­o del conflitto.

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