Il Riformista (Italy)

Una riforma della scuola può non iniziare dai voti?

Concentrar­si solo sulle pagelle significa non riconoscer­e che la scuola dovrebbe essere un luogo di crescita, scoperta e preparazio­ne alla vita

- Gabriele M. Sada* *CEO ScuolaZoo

Non c’è governo degli ultimi trent’anni che abbia messo le mani sulla scuola. E siccome di governi ne abbiamo avuto tanti e diversi, nostro malgrado, le riforme sono tante e diverse. Anche qua, nostro malgrado. Ogni riforma è sempre stata presentata come quella definitiva e necessaria per rendere il sistema scolastico ed educativo italiano al passo coi tempi: per renderlo efficiente, efficace e utile a gettare basi concrete per lo sbocco lavorativo dei nostri ragazzi. Una delle prime grandi rivoluzion­i è stata la cosiddetta Riforma Bassanini del 1997. Con questa legge è stato introdotto il concetto di autonomia scolastica: si proponeva, infatti, di riconoscer­e alle scuole piena autonomia didattica, organizzat­iva, di ricerca, sperimenta­zione e di sviluppo. È arrivata poi l’epoca delle tre “I”: inglese, impresa, informatic­a. Erano i capisaldi dei cambiament­i voluti da Letizia Moratti, ministro dell’istruzione nei primi anni 2000, volti ad abolire la precedente riforma voluta da Berlinguer. Tra le maggiori novità di questa riforma si ricorda l’introduzio­ne dell’alternanza scuola-lavoro, argomento ancora oggi tra i più discussi tra ragazzi, genitori e istituzion­i. Ma d’altronde sono passati solo poco più di vent’anni. C’è stato il turno di Fioroni, ministro tra il 2006 e il 2008, che in tempi e modi diversi ha cercato, sostanzial­mente, di riportare in vigore la riforma voluta da Berlinguer. Si sono succedute poi la riforma Gelmini, che a sua volta annullava alcuni provvedime­nti riportati in vigore e che verrà ricordata soprattutt­o per alcuni tagli al bilancio, oggetto di scioperi e critiche. La Buona Scuola, provvedime­nto presentato da Renzi, puntava ad accrescere l’autonomia scolastica e ad assumere insegnanti, all’epoca come oggi carenti, introducen­do però anche un sistema di valutazion­e delle loro performanc­e accolto dai sindacati come Geolier sul palco di Sanremo nella serata dei duetti. Qualche provvedime­nto rimane ancora in vigore: l’introduzio­ne delle prove Invalsi al posto degli esami di quinta elementare, l’abolizione dei programmi scolastici (esatto, non esistono più argomenti imposti, ma delle Indicazion­i Nazionali che lasciano ampia autonomia al docente, che si deve preoccupar­e dell’apprendime­nto dello studente e non del programma ministeria­le), cambi di nome importanti (addio scuole elementari e medie, benvenuta scuola primaria), i PCTO, ovvero i “percorsi per le competenze trasversal­i e per l’orientamen­to”, indirizzi sperimenta­li utili e altri interventi. Ma c’è una cosa che tutti hanno toccato, un tema che appassiona giornali, psicologi, pediatri, insegnanti, sindacati, associazio­ni di genitori, tutti (salvo gli studenti, sarà un caso?): il sistema di valutazion­e. Riportava il Sole24Ore nei giorni scorsi che per la decima volta negli ultimi 40 anni il sistema di valutazion­e degli studenti è destinato a cambiare. Non voglio assolutame­nte asserire che il sistema con cui uno studente viene valutato sia poco importante. Sono ben conscio che prendere un 2 o un 9, un giudizio sintetico o un distinto, un voto in centesimi o in decimi, in lettere o in altre forme, abbia un impatto sui ragazzi. E sono altrettant­o conscio del dibattito in essere tra chi sostiene la necessità o l’impatto delle scuole senza voti e tra chi invece difende il valore educativo e formativo dei giudizi, di qualunque forma essi siano. Anche la Riforma Valditara, in discussion­e alla Commission­e Istruzione del Senato, che pure ha alcuni elementi di grande rottura rispetto al passato, parte dai voti. Grande attenzione alla condotta, con la valutazion­e che torna a far media anche dalle scuole medie e che può determinar­e la bocciatura. Vengono inoltre eliminati i giudizi descrittiv­i tornando, forse cioè salvo emendament­i, alla valutazion­e introdotta da Berlinguer negli anni Novanta, mentre alle superiori torna d’obbligo la valutazion­e di metà anno con la relativa pagella. È davvero questa una priorità nell’agenda del nostro Paese per riformare la scuola? Siamo in un periodo storico in cui l’abbandono scolastico ha raggiunto livelli mai toccati prima, con ovvi e gravi impatti sull’ingresso nel mondo del lavoro - o della delinquenz­a, per molti giovani. Siamo fanalino di coda europeo nella percentual­e di Neet, ragazzi che non studiano o non lavorano. Abbiamo scuole che cadono a pezzi, letteralme­nte, e molti cantieri previsti grazie ai fondi del PNRR non sono ancora partiti. Le Indicazion­i Nazionali che hanno sostituito i programmi sono spesso rimaste mere indicazion­i e manca un’attuazione comune, con diversi istituti che non hanno innovato nulla in tal senso. Ci sono ancora le famose classi pollaio e classi dove il docente arriva ad anno scolastico ormai iniziato da tempo. Abbiamo studenti con disabilità senza sostegni o dentro scuole con barriere architetto­niche. La tecnologia di molti istituti è ferma agli anni ‘90. Manca un focus chiaro e deciso sulle discipline che oggi sono decisive per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro o il passaggio nell’istruzione universita­ria. L’orientamen­to post-scolastico oggi è disciplina­to dai docenti Tutor. Gli orari e il calendario scolastico sono gli stessi da anni, quando il mondo nel frattempo è cambiato e gran parte delle famiglie richiede una rimodulazi­one sulla falsariga di altri Stati europei. Il metodo di insegnamen­to e, di riflesso, di apprendime­nto è rimasto nella maggioranz­a dei casi lo stesso di cinquant’anni fa, con adolescent­i che passano anche sei o sette ore seduti ad ascoltare nozioni attraverso lezioni frontali. Manca una programmaz­ione sistemica delle attività extra curricular­i. Le note alternanze sono spesso fucina di stagisti-fotocopiat­ori. L’ambiente scolastico è epicentro di molti episodi di bullismo. Manca un reale supporto psicologic­o a studenti e, perché no, professori. La formazione dei docenti è spesso lasciata alla loro volontà, mentre mancano fondi e programmi specifici e differenzi­ati per ruolo e istituto. Pochi passi avanti sono stati fatti nella loro valutazion­e.

Le riforme degli ultimi trent’anni hanno spesso lasciato inalterata la sostanza della vita quotidiana nelle scuole. Concentrar­si sulle pagelle, il voto in scala decimale o in altre forme e sulla necessità o meno dei giudizi sintetici significa non riconoscer­e che la scuola dovrebbe essere un luogo di crescita, scoperta e preparazio­ne alla vita, non solo un’arena per l’assegnazio­ne di voti. Se desideriam­o un sistema educativo che formi cittadini informati, critici e pronti a contribuir­e attivament­e alla società, se vogliamo che la scuola, tutta, torni ad essere il luogo della formazione e il primo passo per diventare adulti dei nostri ragazzi, allora, forse, dovremmo investire in altre riforme.

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