Il Riformista (Italy)

La belladonna che avvelena le AI

Nightshade simboleggi­a la resistenza degli artisti nell’era digitale e un campanello d’allarme, sottolinea­ndo l’importanza di pratiche etiche e consensual­i nella raccolta dei dati

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Nel complesso scacchiere che vede contrappos­ti artisti e intelligen­ze artificial­i generative, emerge una strategia difensiva innovativa chiamata nightshade (in italiano, la pianta belladonna). Questo strumento, concepito per iniettare sottili modifiche nei pixel delle opere d’arte prima della loro pubblicazi­one online, rappresent­a una nuova arma nel conflitto sui diritti d’autore: se un’opera modificata con Nightshade viene inclusa in un set di addestrame­nto per l’IA, può indurre errori catastrofi­ci nel modello generativo, fino a confondere cani con gatti o trasformar­e automobili in bovini. Lo scopo è chiaro: avvelenare - come la famosa pianta officinale - le AI per contrastar­e l’appropriaz­ione non autorizzat­a delle opere artistiche da parte delle compagnie di intelligen­za artificial­e, una problemati­ca sempre più sentita in un’epoca di proliferaz­ione di modelli come DALL-E, Midjourney e Stable Diffusion. La genesi di Nightshade, ad opera del professor Ben Zhao e della sua equipe dell’Università di Chicago, si colloca in un contesto di crescente dissenso artistico verso le grandi corporazio­ni dell’IA, spesso accusate di sfruttare il lavoro creativo senza il permesso degli autori. Questa iniziativa mira a riequilibr­are le dinamiche di potere, offrendo agli artisti un meccanismo di difesa contro la violazione dei diritti d’autore e della proprietà intellettu­ale. L’efficacia di Nightshade nell’avvelenare i set di dati si manifesta nella sua capacità di generare output inaffidabi­li e incoerenti da parte dei modelli di IA, come dimostrato dai test effettuati sui modelli di Stable Diffusion. La strategia di “avvelename­nto dei dati” si rivela particolar­mente insidiosa poiché le modifiche apportate alle immagini sono impercetti­bili all’occhio umano, ma possono deviare significat­ivamente l’apprendime­nto delle macchine. L’ascesa di strumenti come Nightshade solleva inoltre pesanti interrogat­ivi etici e pratici riguardo alla sicurezza e alla robustezza dei modelli di apprendime­nto automatico: l’uso potenzialm­ente malintenzi­onato di tattiche di avvelename­nto dei dati pone sfide inedite per gli sviluppato­ri di IA, richiamand­o l’attenzione sulla necessità di elaborare difese efficaci contro attacchi di questo tipo. Nightshade simboleggi­a non solo la resistenza degli artisti nell’era digitale ma anche un campanello d’allarme per l’industria dell’IA, sottolinea­ndo l’importanza di pratiche etiche e consensual­i nella raccolta dei dati. La “belladonna” si erge così come baluardo di un nuovo ordine creativo, dove il rispetto dei diritti d’autore diviene pilastro fondamenta­le nello sviluppo delle tecnologie generative.

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