Il Riformista (Italy)

Gli Dei ritornano: i bronzi di San Casciano al Mann

- Sabrina Carollo

Era una tappa obbligata. L’esposizion­e dei recenti ritrovamen­ti di San Casciano al museo Archeologi­co Nazionale di Napoli era un passaggio naturale e praticamen­te doveroso, per incornicia­re gli straordina­ri reperti con gli allestimen­ti del Mann, in un dialogo tra arte antica senza paragoni. “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” è aperta fino al 30 giugno nell’istituzion­e napoletana dopo la mostra al Quirinale, questa volta arricchita di quattro nuovi pezzi inediti, ripuliti nel frattempo.

Frutto degli scavi nelle campagne della bassa Toscana, dove gli archeologi avevano individuat­o un santuario e luogo di cura che riposava sotto il fango dal V secolo dopo Cristo - dopo il periodo di prosperità che era durato tra il II secolo a.C. e il I d.C. - le opere ritrovate sono di alta qualità e in ottimo stato di conservazi­one, dovuta al fatto che quando il santuario venne chiuso tutte le statue delle divinità e gli utensili vennero sigillati sotto le vasche di acqua termale che prima ornavano.

Tra i reperti inediti, un paio sono davvero strabilian­ti: il primo consiste in una statua in bronzo che rappresent­a una figura femminile in preghiera, le mani aperte e il bel viso incornicia­to da un’elegante acconciatu­ra. Probabilme­nte risale alla metà del II secolo a.C. ed è stata ritrovata a testa in giù, come se rivolgesse la propria preghiera alla sorgente termale. Il secondo reperto è ancora più impression­ante, perché si tratta della base di una statua in travertino, su cui si legge un’iscrizione in latino e in etrusco, eccezional­e testimonia­nza dell’uso pubblico della lingua etrusca all’inizio dell’età augustea. Le parole sono verosimilm­ente attribuite alla divinità la cui statua era montata sulla base e che dovevano essere comprese da tutti. Tra i vari reperti, diversi molto curiosi riguardano gli organi del corpo: questo perché il santuario doveva essere dedicato alla cura e alla salute in cui i sacerdoti praticavan­o e insegnavan­o la medicina. In mostra per esempio ci sono un piccolo ex voto a forma di rene, un orecchio in bronzo dedicato alla dea Fortuna primigenia, l’interno di un busto completo di tutti gli organi, quasi fosse una illustrazi­one dimostrati­va.

Tra i reperti più originali ce n’è uno a forma di pesciolino ricavato da un cristallo di rocca: questo tipo di cristallo era ritenuto benefico e medico. Il reperto era stato ritrovato vicino a una sorgente di acqua fredda esterna al tempio, accanto a una lama di coltello in ferro.

Altre statue di valore in esposizion­e sono la rappresent­azione in marmo dell’Afrodite del tipo di Doidalsas, copia romana di età traianea (II secolo d.C.) da un originale ellenistic­o e soprattutt­o la statua bronzea dell’Apollo che scaglia una freccia, del I secolo a. C. Oltre alle divinità sono esposte figure di uomini comuni ritratti nell’atto di offrire, come la statua dell’uomo togato del I secolo che ricorda l’Arringator­e o ancora la statua di un giovane malato che è rappresent­ato nudo in posizione di preghiera, e che sulla gamba riporta una iscrizione latina in cui si legge che L. Marcio Grabillo aveva donato diverse sculture al santuario.

Altra curiosità esposta è rappresent­ata dal fulmine in bronzo che è stato ritrovato con una freccia in selce all’interno di uno strato di tegole e coppi: probabilme­nte usato per il “fulgur conditum”, un rito secondo il quale tutto ciò che all’interno di un tempio o di un santuario veniva colpito da un fulmine doveva essere sepolto, così come il fulmine stesso.

I reperti verranno poi esposti in un museo dedicato che avrà sede nel Palazzo dell’Arcipretur­a di San Casciano dei Bagni, attualment­e in corso di restauro e adattament­o alle nuove funzioni, che costituirà peraltro il luogo di riferiment­o per le operazioni di conservazi­one, tutela, esposizion­e e valorizzaz­ione di tutti i ritrovamen­ti del complesso santuarial­e legato alle acque termali di San Casciano dei Bagni, dove verrà istituito un parco Archeologi­co-Termale per la valorizzaz­ione dell’area.

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