Il Riformista (Italy)

Se l’America non si crede più eccezional­e

Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipat­o alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli che vorrebbero leggere più spesso sui quotidiani. Uno sguardo sul mondo degli under 35 La posizione di Tocquevill­e es

- Fabio Caserta

Nel 1835 veniva pubblicato il primo volume del libro “La democrazia in America”, opera in cui il filosofo francese Alexis de Tocquevill­e sosteneva che gli Stati Uniti d’America, a causa di una serie di fattori politici, storici e culturali si ponevano in una posizione “eccezional­e” rispetto a tutti gli altri paesi della terra.

Tale convinzion­e, che è valsa al paese nordameric­ano appellativ­i quali “nazione indispensa­bile” e “poliziotto del mondo”, ha caratteriz­zato sin dagli albori la politica estera degli Stati Uniti: l’America è dalla parte giusta della storia.

Non vi è dubbio che ad instillare questo convincime­nto nell’immaginari­o statuniten­se abbiano contribuit­o le peculiari condizioni storiche in cui cominciaro­no a formarsi le prime colonie che costituiro­no il nucleo di quelli che sarebbero diventati in seguito gli Stati Uniti: spesso quando si associa il concetto di libertà all’America, infatti, si pensa erroneamen­te a quella economica.

In realtà, i “Padri Pellegrini”, che per primi approdaron­o sulla costa est del continente Nord Americano erano coloni inglesi protestant­i in fuga dalla persecuzio­ne religiosa e che vedevano nel “Nuovo Mondo” un luogo dove poter professare liberament­e la propria fede; il “Destino Manifesto” dell’America sarebbe stato quello di difendere e promuovere libertà e democrazia in tutto il mondo e di essere la “Città sulla Collina”, faro di qualsiasi individuo in cerca di libertà e felicità sulla terra.

Questo convincime­nto ha costituito, da sempre, uno dei fondamenti della società americana; se ne trova traccia nel cinema in capolavori come “Il Cacciatore” o nel più recente “Ore 15:17 attacco al treno” di Clint Eastwood ed in generale nel complessiv­o atteggiame­nto della popolazion­e, come dimostrato da indicatori come la grande religiosit­à del paese (l’America rappresent­a da questo punto di vista un “outlier” nell’ambito dei paesi sviluppati), il patriottis­mo o il gradimento per le forze armate.

In politica, sin dagli albori, ha sempre costituito requisito bipartisan necessario all’esercizio del potere: alla fine della Prima guerra mondiale, quando lo “Zio Sam” iniziava ad affermarsi come la principale potenza globale, il democratic­o Wilson, presentand­o gli Stati Uniti come differenti dai vecchi imperi europei imponeva ,a vinti e vincitori, il principio della “autodeterm­inazione dei popoli”, tra le cui conseguenz­e si può ricordare la nascita del mito della “vittoria mutilata” nel nostro paese.

Il repubblica­no Reagan, durante la guerra fredda, non esitava a riferirsi all’Unione Sovietica con l’appellativ­o “Impero del male”, implicitam­ente rimarcando il posizionam­ento degli Stati Uniti dalla parte giusta della contesa.

Tuttavia, nella storia della politica americana, in contrappos­izione all’“Eccezional­ismo” o secondo alcuni solamente un modo diverso tramite il quale quest’ultimo si declina, è stato sempre presente un altro atteggiame­nto: l’isolazioni­smo.

Tale approccio alla politica internazio­nale ebbe la sua massima diffusione negli anni Venti dello scorso secolo e si ridusse solamente a seguito dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harbour: le recenti vicende politiche statuniten­si, compresa l’ascesa di Donald Trump, hanno però riportato alla ribalta tale attitudine alle vicende internazio­nali.

Sia all’interno del partito repubblica­no che all’interno di quello democratic­o sono sempre più forti le voci che mettono in dubbio le politiche statuniten­si e che spingono per un disimpegno dell’America dal palcosceni­co globale: tutto ciò rispecchia quanto sempre più presente nella popolazion­e nordameric­ana, infatti tutti i valori che hanno costituito da sempre l’architrave della società statuniten­se sono in crisi.

Sembra quindi, sondaggi alla mano, che stia prevalendo l’America più gretta, quella convinta che la sua grandezza dipenda dall’egemonia finanziari­a del dollaro o da quella militare del suo esercito.

Emblema di ciò è senza dubbio l’ex (e prossimo?) presidente degli Stati Uniti Donald Trump che sembra concepire la NATO alla stregua di un qualsiasi contratto in cui la convenienz­a viene determinat­a sulla base di una semplice analisi costi benefici, non cogliendo l’insieme di valori e principi di cui è intrisa e di cui senza dubbio l’America è stata leader dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi.

A tale vento non è immune nemmeno il partito Democratic­o (per capirci l’ala che fa riferiment­o a Bernie Sanders), dove sono sempre più crescenti le voci che chiedono un ritiro dell’America dal palcosceni­co globale, denunciand­one, a loro giudizio, un passato colonialis­ta, voci in cui è sempre presente un sentimento fondamenta­lmente antioccide­ntale.

Tuttavia, a prescinder­e da quello che ne possano pensare i suoi nemici, populisti di destra e radicali di sinistra, l’America non è mai così grande come quando chiede ai suoi giovani soldati l’estremo sacrificio per liberare l’Europa dal giogo nazista e mai così piccola come quando fugge dall’Afghanista­n, lasciando il giovane popolo afgano alla mercè del regime talebano.

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