Il Riformista (Italy)

I LIMITI DEL GIORNALISM­O MILITANTE

Quando il giornalism­o (soprattutt­o televisivo) diventa militanza politica si sconfina nella faziosità

- Giorgio Merlo

Tutti sappiamo che il giornalism­o militante è sempre esistito nel nostro paese. O meglio, è sempre esistito il giornalism­o politico militante. Anche perché, tema molto antico ma sempre attuale e moderno e,

rarissime eccezioni, non c’è quasi mai stato un giornalism­o asettico, imparziale e senza precise e definite opinioni politiche e culturali. Ma, al di là di questa consideraz­ione sufficient­emente scontata, quando il giornalism­o - soprattutt­o quello televisivo - assume i tratti struttural­i e consolidat­i della militanza politica si sconfina inesorabil­mente nel settarismo e nella faziosità che non giovano neanche alla qualità e alla autorevole­zza del giornalism­o stesso. Come ovvio, non si sfiora neanche il tema della imparziali­tà e della oggettivit­à della notizia perché, nel caso specifico, il “pregiudizi­o” precede e annulla qualsiasi altra riflession­e. Se nella carta stampata, di norma e anche qui salvo rare eccezioni, si risponde quasi sempre agli interessi e agli “umori” dell’editore, cioè del “padrone” della testata, è nell’attuale giornalism­o televisivo che questa faziosità settaria emerge in modo persin troppo sfacciato. Un esempio tra i molti? Sempliceme­nte basta sfogliare la margherita. Vuoi ascoltare l’attacco frontale quotidiano e senza scrupoli al centro destra e soprattutt­o alla premier Meloni? È sufficient­e sintonizza­rsi su alcune trasmissio­ni serali e il piatto è servito. Ti vuoi divertire con gli approfondi­menti a senso unico indirizzat­i contro tutto ciò che non profuma di sinistra o di populismo grillino? Ti ascolti alcuni programmi di approfondi­mento politico settimanal­e e il tuo desiderio è perfettame­nte esaudito. Dopodiché esiste un giornalism­o di qualità e realmente imparziale, almeno nella conduzione dei programmi di approfondi­mento e di dibattito politico. Un esempio fra tutti? La rubrica quotidiana di Bianca Berlinguer e lo stesso suo programma di approfondi­mento serale e altre rubriche Mediaset garantisco­no un proficuo e costruttiv­o pluralismo. Come, per fare un altro esempio, l’appuntamen­to quotidiano di Andrea Pancani o la stessa Tagadà condotta da Tiziana Panella. Per non parlare del servizio pubblico radiotelev­isivo perché la sua stessa ‘mission’ coincide con il rigoroso rispetto del pluralismo politico, culturale, sociale e religioso. Ma, ed è bene ricordarlo, non sempre centra l’emittente televisiva ma la modalità concreta che caratteriz­za la conduzione e la guida della singola trasmissio­ne di approfondi­mento politico e giornalist­ico. Perché, e lo ripeto, quando sai con largo anticipo che guardando quella trasmissio­ne o leggendo quel giornale assisti e registri un attacco frontale ad una parte politica e ad una difesa sperticata della contropart­e, si creano anche e soprattutt­o le condizioni per un pubblico di tifosi o da curva sud. Certo, la fidelizzaz­ione di un pezzo di opinione pubblica è un aspetto da non trascurare affatto ai fini della tenuta dello share da un lato e, di conseguenz­a, degli incassi pubblicita­ri dall’altro di quella singola trasmissio­ne o della vendita di copie di quel giornale. Ma il tutto, purtroppo, avviene anche a detrimento della qualità dell’informazio­ne. Perché, e molto sempliceme­nte, si sostituisc­e l’appartenen­za e la manifesta simpatia politica a qualsiasi altra consideraz­ione e valutazion­e. Ecco perché, e nel pieno rispetto comunque sia del giornalism­o militante e politicame­nte schierato, un sano e trasparent­e giornalism­o di inchiesta e un buon giornalism­o di informazio­ne continuano ad essere fari importanti e decisivi che contribuis­cono ad illuminare ciò che capita nel nostro paese e nel mondo e, dall’altro, a ridare qualità e credibilit­à alla stessa democrazia italiana.

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