Il lavoro cambia (ma le regole no)
Il rischio è che non si goda mai di un ritmo che preveda una alternanza tra l’onere della professione e il riposo, l’equilibrio deve oggi tenere conto anche di un nuovo diritto
Il mondo del lavoro è in continuo mutamento, specie con il progressivo aumento dell’utilizzo dei mezzi tecnologici a supporto delle attività di ogni giorno. Per quanto sia difficile inseguire il progresso, chi ci governa e chi scrive le leggi non può esimersi dall’affrontare radicalmente un cambiamento così repentino e impattante sulla vita di tutti.
Sempre più enti e aziende si avvalgono dello smart working: 3.585 milioni i lavoratori da remoto nel 2023, il 541% in più rispetto al pre-Covid. È ormai appurato infatti che la digitalizzazione non sta solo agendo sui processi tecnici e operativi professionali, rendendoli più veloci ed efficaci, ma sta contemporaneamente entrando effettivamente negli spazi privati della persona.
Se da un lato tutto questo rappresenta un elemento di novità e di innalzamento - se ben dosato della qualità del lavoro, dall’altro porta interrogativi importanti in diversi ambiti. La formazione dei più giovani a un rapporto equilibrato con gli strumenti tecnologici; la dotazione di mezzi adeguati; la connessione a internet; la qualità degli spazi vissuti: sono solo alcuni degli elementi da tenere in considerazione per disegnare una nuova cornice all’interno della quale riorganizzare diritti e doveri.
Il cellulare personale è sempre più utilizzato per discussioni relative alle task lavorative, portando a mischiare in continuazione elementi di vita privata con quella professionale, estendendo - di fatto - il tempo dedicato allo svolgimento delle attività quotidiane senza che neanche ce ne accorgiamo. Alla luce di questa vera e propria rivoluzione, per cui si rischia di non poter godere mai di un ritmo che preveda una necessaria alternanza tra l’onere legato alla professione e il riposo, l’equilibrio tra orario lavorativo e vita privata deve oggi tenere conto anche di un nuovo diritto: quello alla disconnessione. È infatti necessaria un’attenzione maggiore al rispetto degli spazi al di fuori delle attività e degli orari di servizio previsti da contratto. Essendo ovvia la difficoltà di gestire solo a livello normativo questa rivoluzione, occorre, come sempre, partire dalla formazione alle nuove tecnologie e alla comprensione dei processi. Si rende necessaria per favorire un approccio sano e funzionale agli strumenti tecnologici che rispetti la vita di chi vi si interfaccia in primis. È infatti l’utente, spesso, a non essere in grado di comprendere quale equilibrio pretendere da sé stesso in relazione ai mezzi digitali. È qui che l’approccio necessario per un futuro in cui la persona sia a prova di tecnologia, ovvero rispetti sé stessa, richiede un intervento multidisciplinare. Non è solo il legislatore a dover normare, ma occorre l’apporto di psicologi che cerchino di comprendere quali siano le ricadute sull’individuo; sociologi che si interroghino sugli impatti sociali; tecnici e ricercatori che studino gli strumenti migliori; tutte le persone, che decidano quale futuro vogliono e lo costruiscano.
È tutto da rivedere, e siamo ancora in tempo.
*Docente di Istituzioni politiche Roma Tor Vergata