Il Riformista (Italy)

PAC, limiti e rivendicaz­ioni Gli elementi per orientarsi sulle proteste agricole

Abbiamo chiesto ad alcuni dei ragazzi che hanno partecipat­o alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa di scrivere gli articoli che vorrebbero leggere più spesso sui quotidiani. Uno sguardo sul mondo degli under 35 Le agroprotes­te europee delle

- Antonio Bompani

Per cercare di comprender­e le agroprotes­te europee delle ultime settimane, che sommano questioni molto diverse e sono lo specchio di tensioni e mutamenti internazio­nali, non si può non partire dalla Politica Agricola Comune, che significa inquadrare il problema da un punto di vista paradigmat­ico. La PAC, varata nel 1962, ha sempre rappresent­ato una stretta intesa tra l’Europa e i suoi agricoltor­i. Fu pensata con l’obiettivo di sostenerli e tutelarli, cercando di migliorare la produttivi­tà agricola al fine di garantire un approvvigi­onamento stabile di alimenti a prezzi accessibil­i. La natura fondamenta­lmente sussidiata del comparto risiede nel fatto che la produttivi­tà è nettamente inferiore a quella degli altri settori economici, ma anche nella ricerca di una autosuffic­ienza strategica di fondo. Trattandos­i di una politica comune dell’Ue, essa è gestita e finanziata a livello europeo, quindi con risorse proprie del bilancio Ue. La peculiarit­à della PAC sta anzi nel fatto che si tratta di una delle politiche comunitari­e di maggiore importanza, che fino al periodo pre-Covid impegnava addirittur­a il 39% del bilancio comunitari­o, già molto ridotto per sua natura (chiara conseguenz­a degli atavici problemi di mancata integrazio­ne e volontà dei governi nazionali). Le incertezze commercial­i e l’impatto ambientale dell’agricoltur­a giustifich­erebbero, nella sua costituzio­ne e per il suo intento, il ruolo svolto dal settore pubblico. Concretame­nte la PAC interviene fornendo sostegno al reddito tramite pagamenti diretti, attraverso l’adozione di misure per far fronte a congiuntur­e difficili (cali di domanda, contrazion­i di prezzi), o ancora tramite misure di sviluppo rurale dedicate a specifici territori. Con il nuovo corso della PAC 2023-2027, si delinea una politica che integra le ambizioni di sostenibil­ità del Green Deal. Le proteste esplose nei vari paesi si scagliano, sinteticam­ente, verso il taglio parziale dei sussidi e l’accresciut­a iper-regolament­azione europea, che si sommano ai provvedime­nti nazionali di politica interna (in Italia, ad esempio, riguardant­i il cambio di regime fiscale, in Germania l’esenzione sulle tasse per l’acquisto di carburante).

Una riflession­e, che è insieme sociale, economica e politica, va fatta sul concetto stesso di sussidio. Quando piuttosto alto (specialmen­te se già elevato dalla sua introduzio­ne), esso genera come conseguenz­a una dipendenza, risultando nei fatti un disincenti­vo a innovazion­e e creazione di valore aggiunto. Questo meccanismo ha provocato una distorsion­e, psicologic­a e culturale, nel mondo agricolo: l’innovazion­e, che pure c’è e potrebbe ancora fare passi da gigante (l’agricoltur­a è un campo in cui c’è grande ricerca e metodo scientific­o), non è vista in termini positivi. L’aritmetica dei sussidi è complicata, perché è difficile da controllar­e. La contropart­ita del sussidio è il consenso, e purtroppo ciò che si è dato una volta è raro venga tolto anni dopo. Va anche detto che a questo sistema gli agricoltor­i non hanno alternativ­e reali: non si decide di stare fuori dalla PAC, ma si opera in un mercato che subisce i cortocircu­iti della PAC. In generale, lo sviluppo tecnologic­o e l’acquisizio­ne di nuovi metodi non devono essere incasellat­i in un “progresso” astrattame­nte concepito, bensì in nome del migliorame­nto della qualità di vita di gran parte delle persone, dove l’innovazion­e è l’unica leva: la vera ecologia sta nella riduzione dei costi e nel minore spreco di risorse. Analizzand­o il caso italiano, che si interseca comunque con gli stessi problemi del macrosiste­ma europeo, bisogna partire da un dato struttural­e, e cioè la dimensione media dell’azienda agricola italiana, inferiore agli otto ettari. Parliamo delle imprese agricole più piccole d’Europa (solo per fare degli esempi comparativ­i, in Francia e Germania siamo rispettiva­mente sui 53 e 56 ettari). L’agricoltur­a nazionale non ha un problema di vendere sottocosto perché qualcuno impone prezzi troppo bassi, ma ha un problema di costi di produzione eccessivam­ente ingenti, frutto di un sistema produttivo nei fatti parcellizz­ato. Discutere di pressione della grande distribuzi­one o di concorrenz­e sleale di prodotti stranieri senza mai parlare di ipotesi di accorpamen­to fondiario, di aggregazio­ne dell’offerta, di messa a fattor comune di strumenti produttivi delle aziende agricole risulta intellettu­almente disonesto. Manca la volontà politica e delle associazio­ni di categoria di andare nella direzione di rendere l’offerta più competitiv­a nei confronti delle contropart­i industrial­i e commercial­i.

Lato europeo si sono sicurament­e commessi errori riguardant­i la sottovalut­azione di effetti e costi della transizion­e ecologica (da qui lo scetticism­o verso la strategia del Farm to Fork), destinati a ripetersi in altri settori. Il sistema dell’Ue si basa ora su uno scambio con gli agricoltor­i: sussidi in cambio dei cosiddetti public goods, beni pubblici prodotti dall’impresa ma che il mercato non remunera, nel caso particolar­e pratiche agronomich­e sostenibil­i. Lo scambio che chiede l’Unione (non solo agli agricoltor­i, ma all’industria e alla società tutta) è di fare passi avanti verso la sostenibil­ità ambientale, oggi in maniera più forte rispetto al passato. Se alcune scelte possono apparire miopi, allo stesso tempo non si può sintetizza­re il tutto con la frase “l’Europa vuole impedirci di produrre”, come spesso si sente risuonare nel dibattito pubblico. Bisognereb­be piuttosto mettere gli agricoltor­i italiani ed europei nelle condizioni di competere con i produttori esteri, lasciando loro maggiore libertà di iniziativa e processo. Il settore primario è di vitale importanza ma va ripensato, in maniera efficiente e funzionale: un sussidio minimo rimane necessario, una Unione di Stati deve mantenere una propria produzione agricola interna, specie in uno scenario internazio­nale sempre più incerto. Allo stesso tempo deve però essere tutelata la libertà degli agricoltor­i, che passa per una migliore rappresent­anza organizzat­iva e sindacale (lasciando per esempio agli addetti la possibilit­à di rivolgersi ad agronomi profession­isti: ogni riferiment­o a Coldiretti è puramente casuale), fino ad arrivare alla sperimenta­zione di quella ingegneria genetica che superi gli evitabili vincoli microecono­mici gestionali da invasivo gigante burocratic­o (e nano politico, s’intende).

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