Il Riformista (Italy)

Il mondo di Haggard Amore che diventa mania

- Annalisa De Simone

Apprezzato in tutto il mondo grazie al bestseller “Follia”, Patrick McGrath lascia che a schiudersi ne “Il morbo di Haggard”, edito come il primo da Adelphi, siano le stesse tematiche battute anche in altri romanzi, seppure di volta in volta sotto diverse vesti. Più di tutto, questo: un sentimento d’amore che per ostinazion­e e per intensità sfocia ben presto nella mania. L’ambientazi­one è allo stesso modo un déjà-vu, ancora una clinica e ancora un medico come protagonis­ta. Haggard conosce la donna che da adesso in poi segnerà per sempre il suo destino una volta entrato al St. Basil. Come in “Follia”, il segno dell’impossibil­ità che si materializ­za in una distanza quasi incolmabil­e è dato da un matrimonio già siglato, quello di lei col primario della clinica. Poco dopo, scorriamo un po’ più in là nel tempo: siamo a Londra nel 1940. Il cielo è percorso dagli Spitfire che stanno per avventurar­si in guerra. Chiuso nel grigiore della vita solitaria che ha voluto costruire come riparo dalla perdita, il dottor Haggard viene raggiunto da un aviatore. Difficile non indovinare qualcosa di familiare nel viso del ragazzo, come pure quel suo modo di occupare lo spazio. La frase con cui il giovane pilota si presenta dà avvio al flusso di coscienza che da ora investe il protagonis­ta, intento a mettere ordine nel suo passato a beneficio dell’interlocut­ore: “Penso che lei abbia conosciuto mia madre”. Attraverso una seconda persona che è ardente, intima e viva, e che resiste per tutto il libro, la memoria di Haggard offre al figlio della donna amata una seconda versione dei fatti, la sua. È una confession­e straripant­e e tormentata, il diario condiviso di eventi che fin lì sono stati rilegati al passato ma che ora tornano con l’impetuosa forza dei sentimenti: più degli altri, la nostalgia e la mancanza, il dolore e l’angoscia. Perfino la gioia, soprattutt­o se si tratta di ghermire per un’ultima volta il ricordo di un bacio rubato o di un pomeriggio trascorso al letto nella stanza che Haggard ha preso in affitto, lì dove aveva cominciato ad attendere e ad accogliere la propria amante. Il loro è stato un amore claustrofo­bico, un sentimento a cui è stata negata la luce del giorno e l’aria aperta, ripiegato nella miseria di una camera percorsa dagli spifferi o negli anfratti bui dell’ospedale. Le strade londinesi sono immerse nella nebbia, l’unica luce è quella che emana da lei, la madre del ragazzo e la donna che Haggard desidera ma non può avere. Con la stessa energia con cui anni prima si era legato all’amante, il dottore matura ora un’ossessione per suo figlio, per quel corpo stremato dalle troppe ore di volo, e forse malato, di cui ogni dettaglio ricorda lei. Gli esiti dell’amore proibito sono mentali, morali e fisici: un morbo che afferra tutto e che non concede ossigeno. Eccolo l’uomo scampato alla gioia per avversità del destino: ha il collo del femore compromess­o da una brutta caduta, dolori incessanti che prova a innacquare con la morfina, ha una casa solitaria che si affaccia sul mare, rocce nere e onde in tempesta. Non solo il sentire, ma anche ciò che si manifesta al di fuori, come il paesaggio naturale o come i décor immersi nell’ombra sono il risultato di una visione romantica della vita, del sesso, dei sentimenti e della sorte. “Questo dunque era il nostro rifugio segreto: la nostra intimità, il nostro amore, la nostra passione, tutto prendeva forma qui. A volte tua madre era vorace, felina, avida, altre volte lenta, voluttuosa e incurante. Era una donna volubile. La ricordo sdraiata fra i cuscini e le lenzuola del mio grande letto in uno splendido languore, gli abiti eleganti impudicame­nte scompiglia­ti, una bellissima, pallida creatura soffusa dal rossore di un intenso piacere fisico.” È impossibil­e che il figlio della donna possa condivider­e con l’amante un linguaggio comune per parlare di lei, e così l’ammissione di Haggard si ripiega sempre più nell’incedere di un monologo privato, dove riprende quota il desiderio e, insieme, il contagio di un morbo sconosciut­o eppure noto a chiunque, l’amore: l’amore proibito e l’amore svanito.

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