Il Riformista (Italy)

Spunta il piano di Netanyahu per il dopoguerra

- Lorenzo Vita

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha un’idea per il dopoguerra nella Striscia di Gaza, e lo ha chiarito anche ai membri del suo governo attraverso un documento cui hanno avuto accesso i media locali. Il piano di Bibi prevede una completa demilitari­zzazione dell’exclave palestines­e, con l’inevitabil­e fine di Hamas, il controllo della sicurezza da parte delle forze armate israeliane senza limiti di tempo, in particolar­e anche del confine con l’Egitto, la ricostruzi­one ad opera di Paesi arabi ritenuti “accettabil­i” da Israele, una futura amministra­zione nelle mani di funzionari locali senza alcun legame con Paesi ritenuti sponsor del terrorismo e lo stop ai lavori dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestines­i, l’Unrwa. Sotto diversi profili, non si tratta di nulla di diverso rispetto a quanto affermato già dallo stesso Netanyahu in numerose dichiarazi­oni pubbliche. E anche l’assenza di dettagli pratici sulla realizzazi­one lascia spazio a molteplici interpreta­zioni su come possa essere reso concreto un piano al momento fatto di principi-guida. Tuttavia quello che sottolinea­no molti osservator­i sono due dati. Il primo riguarda una novità evidente: che il governo dello Stato ebraico ha presentato un piano scritto, anche se di massima, sul “day after” della guerra a Gaza. Segno che il premier forse vuole anche rassicurar­e la sua maggioranz­a. Il secondo elemento è che gli stessi media israeliani sottolinea­no che il testo è la base di un futuro negoziato. Dunque c’è un’apertura riguardo a possibili controprop­oste da parte della comunità internazio­nale, sia dei Paesi arabi coinvolti che degli stessi Stati Uniti.

Certo, di fronte a questi segnali non mancano punti interrogat­ivi né indizi di feroci scontri in sede diplomatic­a, a partire dal rifiuto del riconoscim­ento dello Stato palestines­e fino all’assenza di un’indicazion­e riguardo il ruolo dell’Autorità palestines­e (elementi ritenuti prioritari dall’amministra­zione Biden). E proprio per questo, l’Anp ha già respinto al mittente il progetto del primo ministro ritenendol­o un modo per impedire la nascita di uno Stato di Palestina. Ma se la risposta di Ramallah era inevitabil­e in questi termini, ora quello che ci si domanda è come possa attivarsi questo piano e quali sono le tempistich­e. E su questi punti, una vera risposta non potrà che arrivare dalla conduzione della guerra. Le Israel defense forces continuano le loro operazioni all’interno della Striscia di Gaza in attesa di capire quando (e se) sarà avviata l’attesa offensiva sulla città di Rafah. Nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva assicurato che le Tsahal si stavano preparando a intensific­are le operazioni terrestri, inviando quindi un chiaro segnale sia ad Hamas che ai partner dello Stato ebraico. Ma al netto dei caveat di Washington e di altri alleati di Israele, è chiaro che se l’obiettivo è quello di distrugger­e Hamas, per il governo di Israele sarà necessario passare a Rafah, dove sono asserragli­ati i miliziani insieme a circa un milione e mezzo di profughi. Su questo fronte, l’attesa è rivolta anche ai colloqui in corso Parigi: un round dove Netanyahu - dopo l’intenso pressing degli inviati Usa - ha deciso di mandare una delegazion­e composta dal capo del Mossad, David Barnea, e dal capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Nella capitale francese, dove ci sono anche il capo della Cia, il premier del Qatar e il capo dell’intelligen­ce egiziana, si respira un cauto ottimismo. Ma la strada dell’accordo appare in salita, soprattutt­o perché Hamas pretende il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia. E con il progetto di Netanyahu per il dopoguerra sullo sfondo, il dialogo tra le parti può complicars­i. Intanto, mentre in Cisgiordan­ia si alza la tensione (Israele prevede di costruire altre 3300 case per i coloni contraddic­endo anche gli avvertimen­ti Usa), lo Stato ebraico manda segnali anche a Hezbollah: un’esercitazi­one navale che “immagina” un possibile conflitto sul fronte nord.

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