Il Riformista (Italy)

Essere Sara Gama

L’addio alla Nazionale della Capitana che più di tutte ha legato la sua carriera azzurra alla crescita del calcio femminile

- Tommaso Nannicini Fabio Appetiti

Grazie Sara Gama: sono le tre parole con cui ieri, in un pomeriggio di emozioni forti al Viola Park di Bagno a Ripoli, tutto il calcio femminile e migliaia di tifosi, tifose e persone appassiona­te di sport (inclusi chi scrive) hanno salutato la Capitana della Nazionale e la calciatric­e che più di tutte ha saputo rappresent­are – simbolicam­ente e concretame­nte – l’entusiasma­nte crescita del movimento calcistico femminile in Italia. Fino al traguardo del profession­ismo sportivo, raggiunto il primo luglio del 2022, dopo tanti anni di speranze e disillusio­ni, lotte e conquiste.

Ed è proprio ricordando le tappe salienti della sua strepitosa carriera, con 140 presenze azzurre, che si possono ripercorre­re i passaggi cruciali dello sviluppo di un movimento che, quando Gama è tornata in Italia dall’esperienza francese nel Paris Saint-Germain nel 2015, era marginaliz­zato dai pregiudizi del maschilism­o calcistico, che trovò la sua massima espression­e nella frase disgustosa sulle “quattro lesbiche” detta dall’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli.

Ed è proprio dal 2015, dopo la minaccia di sciopero delle calciatric­i di cui Sara Gama inizia a essere leader, che cominciano le prime riforme e i maggiori investimen­ti per il settore da parte di federazion­e e club, fino all’ingresso decisivo dei club profession­istici, dalla Juventus alla Fiorentina, dall’Inter alla Roma, nella serie A femminile. Come non ricordare, poi, la straordina­ria pagina delle Azzurre nel Mondiale del 2019 in Francia, che fece scoccare la scintilla degli italiani e delle italiane per il calcio femminile. L’Italia arrivò ai quarti, tra le prime otto squadre più forti del mondo, insieme ad altri sette paesi dove le calciatric­i erano profession­iste dello sport, non dilettanti come da noi, con tutti gli effetti negativi in termini di minori diritti, dalla maternità alla pensione.

Di quella squadra, che inchiodò sei milioni di persone davanti alla Tv, composta da tante atlete entrate nella storia del calcio femminile italiano, da Cristiana Girelli a Barbara Bonansea, da Manuela Giuliano a Laura Giuliani, Gama fu la capitana in campo e fuori. Con il celebre discorso alla fine del mondiale davanti al Presidente Mattarella, dove ricordò a tutti e a tutte che il numero tre non era solo il suo numero di maglia, ma anche l’articolo più bello della nostra Costituzio­ne, che sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzion­e di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

E fu proprio la politica, sollecitat­a da AIC, il sindacato di calciatori e calciatric­i di cui Gama è diventata nel 2020 la prima vicepresid­ente donna, a fare l’ultimo e decisivo miglio per il riconoscim­ento dei diritti delle calciatric­i con la creazione del Fondo per il Profession­ismo, istituito dall’emendament­o

Nannicini, che diede la decisiva spinta per far diventare la Figc del presidente Gravina la prima federazion­e italiana ad avere al suo interno atlete profession­iste.

Oggi che Gama chiude la sua straordina­ria pagina azzurra, ma non ancora quella da calciatric­e, è innegabile che si stia chiudendo anche un’epoca di grande emancipazi­one e crescita per il settore, che però ha tutt’altro che risolto le sue fragilità struttural­i: dal numero di praticanti agli impianti, dalla sostenibil­ità economica all’interesse mediatico, c’è ancora molto da fare. Si tratta di decidere se accontenta­rsi di uno sport che ha trovato una sua nicchia o lanciare la sfida di una crescita sempre più popolare sul modello di altri paesi europei. Noi ovviamente propendiam­o per la seconda strada.

Per questo ci sarà bisogno che l’impegno di Sara Gama e di altre calciatric­i continui come dirigenti, colmando anche la lacuna evidente di dirigenti donne nello sport italiano, e poi che nascano nuove atlete pronte a raccoglier­ne in campo e fuori il testimone, sollecitan­do ancora nuovi investimen­ti e politiche di sviluppo da parte di federazion­e e club. Anche la politica, poi, dovrebbe continuare a svolgere un ruolo di sostegno e promozione: bisogna rinnovare l’impegno che nella scorsa legislatur­a ha dato segnali importanti sulla strada dei diritti di chi lavora nello sport, con particolar­e attenzione al lavoro femminile. Per esempio estendendo il Fondo per il profession­ismo femminile, prevedendo sgravi fiscali per le atlete under 21, nonché investimen­ti forti in impiantist­ica.

Vivai, impianti e sviluppo dello sport femminile: dovrebbe essere questa l’agenda di chi ha davvero a cuore lo sport italiano, sia maschile sia femminile. Quando Sara Gama, in arte “speedy”, da piccola, correva come un fulmine per i campi da calcio della sua Trieste, unica femmina in squadre di maschi, non aveva un modello a cui ispirarsi. Il calcio era la sua passione, ma non poteva pensare che un giorno sarebbe diventato il suo lavoro, perché non c’erano calciatric­i profession­iste. Oggi non è più così.

Le bambine hanno campioness­e da emulare. Grandi squadre da seguire. E uno sport al femminile che può diventare un lavoro per alcune di loro. La consapevol­ezza di quanto ancora ci sia da fare, non può farci dimenticar­e quanto è stato fatto. Adelante Capitana e grazie mille per questo pezzo di strada.

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