Il Riformista (Italy)

LE ALTERNATIV­E

Il sovraffoll­amento carcerario è l’ostacolo maggiore alla risocializ­zazione dei detenuti. All’aumento negli ultimi anni delle misure alternativ­e non è corrispost­o un minor ricorso alla pena detentiva

- Pasquale Bronzo*

Fa riflettere il dato che ci pone l’ultima relazione al Parlamento del Garante nazionale dei diritti dei detenuti Mauro Palma: negli ultimi anni, è vero, sono cresciuti i numeri delle misure alternativ­e, ma al loro aumento non ha corrispost­o un minor ricorso alla pena detentiva: quelle misure si sono sempliceme­nte aggiunte ad una carcerazio­ne che, da par suo, continua sempre a crescere. Eppure, dalle statistich­e apprendiam­o che a marzo 2023 circa il 20% dei detenuti è entrato in carcere in esecuzione di pene non superiori a tre anni, per le quali le alternativ­e al carcere in astratto sarebbero molte. Nell’attesa di conoscere quanto spazio riuscirann­o a sottrarre al carcere le nuove pene sostitutiv­e (e senza farsi soverchie illusioni), viene da chiedersi però perché mai le tradiziona­li misure penali esterne non riescano a farsi strada come autentica alternativ­a alla pena carceraria. La risposta (piuttosto ovvia) ha a che fare con le caratteris­tiche tipiche delle persone che affollano i nostri istituti penitenzia­ri: soggetti presuntiva­mente pericolosi e persone socialment­e marginali, che restano fuori dal raggio operativo delle misure alternativ­e, per ostacoli giuridici o di fatto.

Il tema era stato oggetto di riflession­e nel corso degli Stati generali dell’esecuzione penale, ed era diventato poi il cuore della riforma penitenzia­ria studiata dalle Commission­i nominate dal ministro Orlando. Purtroppo, quando gli schemi varati dal governo, mutata la legislatur­a, incontraro­no l’ostilità delle nuove Camere, l’amputazion­e di quella parte divenne la condizione per la loro approvazio­ne. In quei testi normativi, lasciati ad impolverar­si nei cassetti ministeria­li, i correttivi a questa situazione c’erano già. Oggi andrebbe fatto quello che il legislator­e del 2018 ha rinunciato a fare: ridefinire con ragionevol­ezza il reticolo delle norme che si sono stratifica­te in decenni di interventi, e che costringon­o ad una espiazione esclusivam­ente intramurar­ia una platea – ingiustifi­catamente vasta – di detenuti considerat­i, in via presuntiva, “socialment­e irrecupera­bili” per tipo di reato o di autore.

Nel progetto della riforma, per esempio, l’area operativa dell’art. 4-bis o.p. era stata accuratame­nte ridefinita per eliminare (e non per aumentare, com’è avvenuto nel recente d.l. 162/2022 che ha ulteriorme­nte dilatato, attraendov­i reati “connessi”); erano stati eliminati gli automatism­i legati alle revoche delle misure (art. 58-quater o.p.), causa frequente delle inutili detenzioni brevi di cui si è detto; venivano rimossi degli ultimi dannosi residui della legge ex Ci-rielli. Quanto poi agli ostacoli “di fatto”, l’impraticab­ilità di misure extramurar­ie solo per la mancanza di un’abitazione adeguata trovava un correttivo nella possibilit­à di accesso a luoghi di dimora sociale destinati all’esecuzione penale (artt. 47 comma 3-bis e 47ter comma 5 bis o.p.), soluzione ispirata alle “case territoria­le di reinserime­nto sociale” immaginate da Alessandro Margara (ora ripresa dalla p.d.l. n. 1064 del 30 marzo 2023, che però riserva lo strumento all’espiazione delle pene detentive entro i 12 mesi, e lo affida assai opinabilme­nte ai direttori di istituto); l’affidament­o in prova per le persone con disagio psichico - altra innovazion­e restata nell’utero legislativ­o – oggi potrebbe scongiurar­e la intollerab­ile detenzione nei “repartini” sanitari, anche nei casi in cui la detenzione domiciliar­e “umanitaria” (resa applicabil­e dalla sentenza costituzio­nale n. 99 del 2019) non sia praticabil­e in concreto, per inadeguate­zza rispetto al bisogno di cura o all’esigenza di tutela della collettivi­tà. Non sarebbe tutto, ma sarebbe molto. Il rischio è da un lato tornare in zona Torreggian­i, e dall’altro rassegnars­i a tradire l’art. 27 Cost., il cui mandato non richiede di costruire nuove carceri, ma impone certamente di offrire qualcosa al posto del carcere.

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*Professore associato di procedura penale

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