Il Riformista (Italy)

MAGISTRATU­RA DI SORVEGLIAN­ZA

Le case circondari­ali si fanno sempre più un “popoloso deserto”, in cui la condivisio­ne forzata degli spazi angusti è dolorosa persino meno dell’assenza di prospettiv­e. Un luogo dove le marginalit­à si sommano, quando invece dovrebbero essere affrontate

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Il numero dei suicidi, ben più delle singole storie spezzate che lo compongono, induce oggi a tornare a porsi con maggior urgenza il tema del ricorso a misure emergenzia­li in grado di decongesti­onare, almeno in parte, i nostri penitenzia­ri. Altre aspettativ­e finiscono così per caricare di inquietudi­ni le lunghe notti delle prigioni. L’attesa, anche quella di eventi positivi, persino quella di un insperato indulto o della tanto citata liberazion­e anticipata speciale, in carcere può tradursi in un cruccio, che è il precipitat­o della condizione di privazione di libertà, per cui si perde il controllo e la possibilit­à di scegliere anche nel poco, e si rischia perciò di regredire ad una dimensione infantiliz­zata.

È questa la quotidiani­tà che si presenta al magistrato di sorveglian­za che visita il carcere, nell’esercizio della funzioni che gli sono affidate dalla legge penitenzia­ria, sempre in perdita nella inevitabil­e scelta tra dare precedenza al fascicolo che potrebbe ricondurre qualcuno alla società o andare a verificare quel che sta accadendo dentro le mura. È chiamato alla tutela giurisdizi­onale dei diritti delle persone detenute e a verificare la costruzion­e dei percorsi di reinserime­nto sociale, oggi come ieri. Le fonti, non solo normative, già da tempo avrebbero potuto essere aggiornate e migliorate. Lo sono state poco. La stagione delle riforme ha visto mettere da parte molte importanti soluzioni che gli Stati Generali dell’esecuzione penale, la Commission­e Giostra, la Commission­e Ruotolo, avevano in vario modo declinato. Non sempre proposte di legge primaria, consapevol­i delle difficoltà di trovare soluzioni politicame­nte condivise, ma anche strade percorribi­li solo in via amministra­tiva. Al contrario, la Corte Costituzio­nale ha, in questi anni, continuato a disvelare un percorso di “inverament­o del volto costituzio­nale della pena” che ancora oggi prosegue, e che ha anche riconsegna­to alla magistratu­ra di sorveglian­za importanti margini di discrezion­alità per consentirl­e di prendere in consideraz­ione i percorsi individual­i delle persone, mettendo nell’angolo le presunzion­i ostative assolute.

Le risorse su cui la magistratu­ra di sorveglian­za può far conto restano però esigue, non soltanto per i suoi numeri, ma soprattutt­o per quelli del suo personale amministra­tivo, e di tutti gli attori dei percorsi di risocializ­zazione, a partire da quelli intramurar­i, tra i quali ci si ricorda ogni tanto degli operatori di polizia penitenzia­ria, ma assai meno degli educatori, degli assistenti sociali, e non parliamo neppure dei mediatori culturali, in un carcere popolato di tanti non italiani. Eppure, nell’attesa di interventi che debbono arrivare, se si ha a cuore la sicurezza collettiva, che passa attraverso i percorsi risocializ­zanti, c’è sulla scrivania del magistrato di sorveglian­za il lavoro di oggi, che riguarda singole persone con la propria storia. Con la chiave da cercare (e non da buttare), alla luce della Costituzio­ne, in ciò che in ciascuno non è soltanto il reato.

Come procedere? Ogni giorno con il senso dell’urgenza, e la frustrazio­ne dell’urgenza, da verbalizza­re e condivider­e con tutti gli altri operatori. E la necessità di valorizzar­e, doverosame­nte esaminati i profili di sicurezza che vengono in gioco, i percorsi responsabi­lizzanti, credibili e individual­izzati. Il magistrato di sorveglian­za conosce questa sola via, che deve continuame­nte imboccare. E non ammette attese inerti, perché il carcere utile alla risocializ­zazione ha i suoi tempi giusti, direbbe Elvio Fassone, e sono quelli che rispettano la dignità delle persone.

*magistrato di Sorveglian­za

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