Il Riformista (Italy)

Volti di Scampia, rabbia e riscatto

Si sa, il crimine sugli schermi televisivi vende e vende bene. Ma non tutti sono rassegnati a una descrizion­e semplicist­ica: ci sono persone come Davide Cerullo che dicono no

- Roberto Cociancich

C’è un luogo di Napoli, un quartiere o forse, come direbbe Erri De Luca, un avamposto che oggi è diventato tristement­e noto perché è il simbolo del degrado, dell’abbandono e della violenza della criminalit­à organizzat­a legata alla camorra. Questo posto si chiama Scampia, gli enormi palazzi a forma triangolar­e che gli architetti immaginava­no essere vele pronte a correre per il mare giacciono in uno stato fatiscente pur essendo intensamen­te abitati da famiglie, anziani e bambini. La narrazione pubblica veicolata da opere come Gomorra di Saviano ne fa un luogo dove ogni speranza è perduta, i cui abitanti, diversamen­te da quello diceva Dante sono uomini e donne fatti ad esser come bruti. Sì, Gomorra, la versione contempora­nea dell’inferno, il luogo dell’espiazione fin dalla nascita di una condanna per crimini che i bambini non hanno ancora commesso ma che si dà per scontato presto commettera­nno. Per molti aspetti è comodo concepire Scampia secondo questo cliché che diventa paradossal­mente quasi un’attrazione turistica. Non tutti sono rassegnati, però, a questa descrizion­e semplicist­ica, utile anche a fini commercial­i. Si sa, il crimine sugli schermi televisivi vende e vende bene. Ci sono però persone, direi resistenti, come Davide Cerullo che dicono no. Davide in quell’avamposto è nato e cresciuto, lì è stato bambino anche se in realtà a lui è stato negato di essere bambino. Non c’è stata infanzia per lui che si è trovato costretto a crescere molto in fretta, a imparare le regole dello spaccio, a maneggiare le pistole, a intimidire chi tardava a restituire le somme agli strozzini. Ma noi cosa ne sappiamo? Scrive Cerullo: “Che ne sai di me, di come mi sono trovato a 10 anni dentro a un fuoco, fuoco che ha bruciato i miei anni più belli, la mia possibilit­à di essere un bambino, un abbraccio di mia madre a sera, quando chiuso rimanevo a luce spenta solo nella mia stanza. Che ne sai tu di tutto quello che sono stati costretti a vedere questi occhi miei, mani di Padre che non li hanno coperti sul male, mentre la violenza e l’odio diventavan­o uno stile di vita. Che ne sai tu di quello che queste mani mie hanno provocato, mani armate, sporche di sangue marcio, rotte dalle ossa divisi spaccati. Ma che ne sai tu, tu che hai sempre fatto finta di non vedermi, dell’uomo che volevo diventare; e ora mi vieni a parlare d’amore, di valori, di riscatto facendo di Gomorra letteratur­a che vive all’insegna di questo nostro abbandono”.

Sì, è facile parlare di Scampia, delle vele e dei suoi abitanti. Ma essi non sono personaggi televisivi, sono persone in carne d’ossa con le loro speranze, le loro incertezze e i loro demoni nel cuore. Davide Cerullo ha raccontato molto bene in uno splendido libro dal titolo l’“Orrore e la bellezza” gli anni della sua militanza all’interno della camorra e di come grazie alla cultura e alla fiducia di persone amiche ha potuto emergere da quell’abisso. Dal nero di quegli anni ha saputo estrarre una luce straordina­ria che ha messo in evidenza la grande ricchezza interiore che giaceva nascosta nel suo cuore di scugnizzo. Oggi la medesima luce traspare dalle magnifiche fotografie dei visi dei bambini ritratti nel volume “I volti di Scampia” edito da Anima Mundi e in Francia da Gallimard. Fotografie senza retorica, né quella del bene né quella del male. De Saint Exupery direbbe che sono i volti del piccolo principe, i volti di un piccolo Mozart: quale grande musica potrebbero comporre se solo ci fosse qualcuno che si occupasse di loro come fanno i giardinier­i con le rose. Nelle splendide fotografie in bianco e nero in quegli sguardi intensi, innocenti e già pensierosi, nel gioco di ombre e di luci che rischiaran­o e oscurano i loro volti c’è tutta l’alternativ­a del loro destino. Un destino che però non è già scritto e che grazie all’impegno di tante persone che - come Davide Cerullo stesso - si dedicano oggi all’educazione, alla cultura, alla creazione di bellezza può essere di vita anziché di morte. Christian Bobin scrive nelle pagine introdutti­ve: “Caro Davide Cerullo, ho letto il suo libro e ho visto i volti che tira fuori dagli inferi - bambini con occhi che brillano per quanto sanno delle tenebre. Apprezzo profondame­nte le sue parole e il modo di attraversa­re la vita prendendo cura dei più deboli che peraltro sono anche invincibil­i. Sono felice che lei esista. Il denaro, le armi, sono fantasmi. La bontà, cioè l’intelligen­za della vita mortale, è l’unica realtà vera. Come lei credo che la bellezza salverà il mondo e che la poesia sia necessaria tanto quanto il sole, il pane e l’acqua. Non lo credo: lo so”. Fotografie e testi. Rabbia e riscatto. Un libro prezioso.

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