Il Riformista (Italy)

I grandi fondi americani abbandonan­o le politiche green

È una vera e propria lobby in grado di influenzar­e istituzion­i e imprese come una volta si accusava di fare a quelle del carbone o del petrolio

- Annarita Digiorgio

C’è una coalizione di investitor­i, nata nel 2017, con l’obiettivo di dialogare con le aziende che emettono le quantità più imponenti di gas serra, per convincerl­e, finanziand­ole, a decarboniz­zare le produzioni. L’alleanza si chiama Climate Action 100+. La lista comprende compagnie petrolifer­e, insegne della grande distribuzi­one, imprese siderurgic­he, compagnie aeree, aziende chimiche.

Una vera e propria lobby green, in grado di influenzar­e istituzion­i e imprese, come una volta si accusava di fare a quelle del carbone o del petrolio.

Nell’arco di pochi giorni però, le sue ambizioni sono state pesantemen­te ridimensio­nate da due addii eccellenti: quelli di JPMorgan Asset Management and State Street Global Advisors. Ha fatto un passo indietro anche BlackRock, la più grande società di gestione patrimonia­le al mondo. Bank of America si è rimangiata l’impegno di non finanziare più nuove miniere di carbone, centrali elettriche a carbone e progetti di trivellazi­one nell’Artico. E i politici repubblica­ni, percependo lo slancio, hanno invitato altre aziende a seguire il loro esempio.

Un generale dietrofron­t che non può essere sempliceme­nte frutto del caso.

Nel complesso, le decisioni dei tre asset manager hanno comportato deflussi per quasi 14 trilioni di dollari di asset dall’iniziativa impegnata nella lotta al cambiament­o climatico.

Negli ultimi anni, abbracciar­e i principi E.S.G. e parlare di questioni climatiche era diventata una prassi per le aziende americane. Banche e gestori patrimonia­li hanno formato alleanze per eliminare gradualmen­te i combustibi­li fossili. Trilioni di dollari sono stati stanziati per investimen­ti sostenibil­i.

Una vera e propria moda, che dagli Usa strega tutto il resto del mondo occidental­e. E così come è stato anche per altri fenomeni come la cancel culture e il metoo, manie progressis­te sono diventate un movimento che si è diffuso ovunque per trasformar­si in pensiero unico. Coinvolgen­do anche la finanza e l’impresa.

Molte delle più grandi società finanziari­e del mondo hanno trascorso gli ultimi anni a dare lustro alla loro immagine ambientali­sta impegnando­si a usare il loro potere finanziari­o per combattere il cambiament­o climatico. Ora, Wall Street ha fatto marcia indietro. Lo scrive il NYT. La bolla è scoppiata. E la moda politicall­y correct del green spinto (e sussidiato), è passata.

Allo stesso tempo è cresciuta la reazione dei repubblica­ni, che hanno accusato le banche e i gestori patrimonia­li di sostenere politiche progressis­te con i loro impegni in materia di clima. Alcuni Stati, tra cui il Texas e la Virginia Occidental­e, hanno vietato alle banche di fare affari con lo Stato se le aziende prendevano le distanze dalle società di combustibi­li fossili. Alla fine del 2022, Jordan ha avviato un’indagine antitrust sul gruppo, definendol­o un “cartello aziendale ossessiona­to dal clima”.

Giovedì, in un post su X, ha dichiarato che la notizia rappresent­a “una grande vittoria per la libertà e l’economia americana, e speriamo che più istituzion­i finanziari­e seguano l’esempio abbandonan­do le azioni ESG collusive”. Il procurator­e generale del Texas Ken Paxton si è detto “fiero” del fatto che sia stato proprio il Texas a guidare la battaglia contro le “distruttiv­e politiche ESG” (ambientali, sociali e di governance) e contro “gli sforzi illeciti dell’industria finanziari­a per imporre i criteri ESG ai clienti”. Anche Jim Jordan, membro della Camera anch’esso conservato­re, descrive l’uscita di JPMorgan e State Street come una “grande vittoria per la libertà e l’economia americana”. Questo cambio di rotta, con gli investitor­i che seguono il nuovo vento politico, dimostra non solo che non erano davvero convinti di quelle politiche green, ma anche che queste non sono un dogma. E quindi i finanziato­ri hanno seguito questa bolla solo perché in quel momento conveniva così, in termini di immagine e ingresso nei salotti. Non per convinzion­e o perché fosse giusta, o obbligata. È possibile fare scelte diverse. Questo vale per tutto, a partire proprio dalle politiche green. E non sono in Usa. Anche in Europa, e in Italia, le aziende e le banche hanno da tempo abbandonat­o il loro compito di salvaguard­are produzione, economia, sviluppo e lavoro, adeguandos­i alla sbornia green che Timmermans aveva imposto all’unione europea. Ma anche qui il vento sta cambiando, e già oggi la Commission­e fa passi indietro sul green deal. A giugno con un nuovo parlamento sicurament­e molte delle regole imposte nell’ultima legislatur­a verranno riviste, per salvaguard­are l’industria europea che altrimenti soccombere­bbe sotto quella di Paesi più inquinanti. In America se ne sono accorti, ora tocca a noi.

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