Tra manganelli e sussidi lo spazio è al centro BISOGNA SAPER PERDERE
Vista con gli occhi dei junior partner, Forza Italia e Lega, una “lezione” a Giorgia Meloni addolcisce solo in parte l’amarezza della sconfitta
Cosa insegna il risultato delle Regionali in Sardegna? Ha perso Giorgia Meloni. Lasciate stare i discorsi di chi dà la colpa a Salvini, chi a Solinas, chi a Truzzu, chi al destino cinico e baro. La Premier ha imposto con tracotanza un proprio uomo al posto del Governatore leghista uscente. E l’ha fatto con lo stile di chi dice: o con me o contro di me. Anziché scegliere un nome credibile ha candidato uno dei fedelissimi che le dicono sempre di sì ma che non sono apprezzati dalla gente. Del resto un Sindaco che si fa sconfiggere di diciotto punti in casa propria qualche problemino deve averlo. Vedrete: saranno gli yesman di cui si circonda a rovinare Giorgia. Fino ad oggi lei non aveva mai perso una sfida. Anche quando era stata sotto il 4% alle Europee del 2014 o era rimasta fuori dal ballottaggio del comune di Roma nel 2016, aveva raccontato come un successo persino la propria sconfitta. Oggi non può. Oggi lei ha un nemico: la realtà. Meloni ha preteso di decidere sulla Sardegna e la sua decisione ha portato la coalizione a perdere. Vediamo come reggerà la botta anche sotto il profilo psicologico. L’impressione è che i guai siano appena iniziati.
Ha vinto l’alleanza tra PD e Cinque Stelle. Il PD non strappava una regione alla destra dal 2015, ripeto dal 2015. Allora il PD governava in 16 regioni su 19 e in due province autonome su due. Ma per qualcuno era un PD che non andava bene, troppo centrista. O troppo vincente, chissà. Oggi Elly Schlein ha vinto la sua scommessa concedendo a Giuseppe Conte di portare a casa la guida della regione per la prima volta nella storia del Movimento, nonostante un risultato di lista attestato al 7%. Mentre è giusto tributare i complimenti alla neo-governatrice Alessandra Todde, perché chi vince ha sempre ragione, si pone un grande tema: e adesso? L’alleanza Cinque Stelle-PD è davvero definitiva e irreversibile? Questo vorrebbe dire ad esempio fare gli accordi per le amministrative non solo a Bari ma anche a Firenze, in Basilicata, in Piemonte. Tutto molto interessante.
Con la destra per la prima volta KO e la sinistra che si riunisce sotto le insegne grilline, si apre uno spazio fantastico al centro. Non è facile fare la differenza alle Regionali, con un turno secco. Ma alle comunali si può fare. E soprattutto alle Europee si deve fare. Si alza la domanda politica di chi non vuole i manganelli di questa destra e i sussidi di questa sinistra. Di chi non vuole che governino i sovranisti a destra o i giustizialisti a sinistra. E alle Europee, in una sfida senza coalizioni, in una consultazione che non risente del ricatto morale del voto utile, il voto è più libero che mai. Sapendo che ogni voto conta. Se tremila voti di differenza tra Todde e Truzzu ci spingono in un quadro politico nuovo, alle Europee ci sarà da lottare per ogni singola preferenza. E vedremo chi avrà la forza e i candidati per farlo.
Il deputato leghista pizzica nervoso qualche nocciolina al banco della buvette. Chiacchiera con una collega di Forza Italia. “Chissà se avrà capito la lezione, che non aiuta essere così arroganti…” dice lui. “Ho qualche dubbio” ribatte lei “l’unico che si è preso la colpa è Truzzu, lei non ha detto una parola e non la dirà, neppure stavolta”. L’oggetto del confronto è Giorgia Meloni. Qualche metro più in là, in Transatlantico, i deputati Fratelli passano dritto, non una parola. Sono nervosi, non parlano, figuriamoci se scherzano. Il capogruppo Foti celebra la liberazione degli ostaggi in Mali, “un altro successo del governo”. Bella notizia, vero, brava la nostra intelligence, ma oggi qui sembra un po’ lunare. Si cerca Donzelli, chissà, in quanto capo dell’organizzazione del partito magari potrà, vorrà, essere un po’ più eloquente. Poi c’è Andrea Crippa, il braccio destro di Salvini, che spiega ai giornalisti perché la Lega “non è andata così male. Dovete sommare il 3,7% nostro con il 5,4% del Partito sardo d’azione (quelli di Solinas, per intendersi, ndr) con cui eravamo alleati alle politiche, fa 9,3 e vedete che non è così lontano…”. Peccato che alle politiche del 2019 la Lega fece il 27,6% e alle politiche del 2022 il 6,3%. Un crollo inesorabile e verticale. Un altro leghista, che ai tempi del Conte 1 ha avuto incarichi di governo, è nei pressi, ascolta e ragiona: “Il progetto della Lega nazionale è fallito, è evidente ma ora non possiamo girare la macchina e tornare indietro, alla Lega nord...”. O almeno, “è difficile farlo con la stessa macchina”. Cioè, con lo stesso segretario. Si ritorna da Crippa che sorride alle illazioni sul voto disgiunto, grande protagonista in Sardegna:
“Ma ora vi immaginate se qualcuno ha il potere di guidare il voto disgiunto su quattromila elettori? Per favore. Piuttosto, sui candidati, bisogna ascoltare il territorio, scegliere le persone, misurarle, valutare il loro operato e non fare imposizioni dall’alto”. Il ragionamento successivo riguarda il terzo mandato per sindaci e governatori. “Non è facile trovare candidati giusti, se li abbiamo non si capisce perché non dobbiamo candidarli. Quante altre volte dobbiamo perdere prima di imparare la lezione”. Questo tema rimbalza anche dall’altra parte del Transatlantico dove si trovano i deputati Pd. “Un problema per volta, oggi godiamoci questa vittoria. Certo – osservano e sono in tre – piazzare un Presidente di Regione con il 7,8% per cento di voti, il due per cento in meno delle ultime regionali…”. La conclusione del ragionamento resta sospesa ma è abbastanza intuibile. Almeno per 24 ore. Poi si vedrà. Forza Italia ha molti rimpianti: “Avremmo avuto a disposizione almeno un paio di candidati che sarebbero usciti vittoriosi. Ma non si poteva perché lei (Meloni, ndr) ha deciso che doveva essere Truzzu”. L’amarezza è appena addolcita dal pensiero se Giorgia Meloni avrà capito che con l’arroganza e l’arroccamento non si governa una coalizione. Frammenti dal Parlamento il giorno dopo la disfatta sarda. Se il vertice a tre Meloni, Salvini, Tajani riunito lunedì quando i risultati non erano ancora definitivi ha condiviso di tenere una linea di quasi indifferenza, della serie che in Sardegna è successo poco o nulla, tra i gruppi parlamentari si respira l’aria di una data di svolta. Vista con gli occhi dei junior partner, Forza Italia e Lega, una “lezione” a Giorgia Meloni addolcisce solo in parte l’amarezza della sconfitta e della consapevolezza che per loro al momento non ci sono alternative a restare al traino di Fratelli d’Italia. Paolo
Truzzu però sembra l’unico ad essersi assunto questa responsabilità. La nota ufficiale della maggioranza parla di “rammarico per il fatto che l’ottimo risultato delle liste (la cui somma stacca di 8 punti percentuali la somma del centrosinistra, ndr) non si sia tramutata anche in una vittoria per il candidato presidente”. Nessun calo di consensi, quindi “resta però una sconfitta su cui ragionare per imparare dalle nostre sconfitte così come dalle nostre vittorie”. La premier consegna ai social il fatto che “le liste di centrodestra risultano comunque le più votate”. Poi rimette la testa nei dossier di politica estera che continua ad essere il campo preferito. Domani parte per Washington dove il primo marzo è attesa alla Casa Bianca dal presidente Joe Biden. Come se nulla fosse, quindi. Ma non è così. Ci sono le altre lezioni regionali: il 10 marzo va alle urne l’Abruzzo, in aprile il Molise dove ancora non c’è il candidato. In Piemonte (si vota a giugno) non ci dovrebbero essere problemi sulla conferma dell’uscente Cirio. Ma da ieri nulla viene più dato per scontato. Neppure in Abruzzo perché se l’uscente Marco Marsilio sulla carta non ha sulla carta problemi di sorta – ha ben governato ed è alto nei consensi a differenza di Truzzu – il campo veramente largo, da Italia viva a Sinistra e Verdi passando per i 5 Stelle che il candidato del centrosinistra Luciano D’Amico è riuscito a tenere insieme comincia a fare paura. Matteo Salvini, che è passato dalla Sardegna all’Abruzzo in una campagna elettorale senza soluzione di continuità, scaccia via i brutti pensieri. “Possiamo prenderci subito la rivincita: qui ci solo due candidati e non c’’è voto disgiunto: o vince uno o vince l’altro. Secondo me qui vinciamo, e non di poco, con la Lega sopra il 10%”. Se il centrodestra, fin dall’inizio, è stato dato per favorito, gli ultimi sondaggi restituiscono però una situazione incerta. Marsilio resta il potenziale vincitore ma con una forbice sempre più stretta e assai più basso di D’Amico per quanto riguarda la fiducia personale. Una partita tutta da giocare. Due sconfitte su due farebbero vacillare anche una campionessa di autostima come Giorgia Meloni. Che intanto, tramite i fedelissimi, ha già fatto pervenire un no secco al terzo mandato. La Lega non ci sta. Ieri i governatori del nord, da Zaia a Fontana a Fedriga, hanno rimesso la questione sul tavolo. E non si possono aspettare giugno e le Europee.
“Chissà se avrà capito la lezione e che non aiuta essere così arroganti ”