Il Riformista (Italy)

Rischio escalation su più fronti, USA in pressing

Hamas attacca dal Libano, mentre le forze di sicurezza temono tensioni durante il Ramadan, Hamas invoca una marcia e Biden chiede garanzie

- Lorenzo Vita

Il portale Axios, tra i informati sugli scambi tra Israele e Stati Uniti, ne è convinto: l’amministra­zione Biden avrebbe dato al governo di Benjamin Netanyahu tempo fino a metà marzo per fornire garanzie scritte riguardo l’impiego delle armi americane, il rispetto del diritto internazio­nale e l’accesso degli aiuti ai civili della Striscia di Gaza. E il mancato rispetto dei termini potrebbe provocare lo stop alle forniture militari Usa. La decisione non sarebbe contro lo Stato ebraico - fanno sapere le fonti – dal momento che Joe Biden ha firmato un provvedime­nto che richiede a tutti gli Stati importator­i di armi americane di fornire questo tipo di assicurazi­oni sul loro utilizzo. Tuttavia, in un contesto come quello della Striscia di Gaza e in una cornice di rapporti tesi tra la Casa Bianca e Netanyahu, questo avvertimen­to può essere particolar­mente rilevante. E diventare inevitabil­mente un altro strumento di pressione di Washington. Il presidente Usa vuole a tutti i costi che si arrivi a una tregua. E nonostante lo scetticism­o (e il gelo) con cui è stato accolto il suo slancio riguardo un possibile accordo tra Israele e Hamas entro questa settimana, la diplomazia statuniten­se, insieme a quella di Egitto e Qatar, lavora per evitare l’assalto a Rafah e una nuova escalation con l’arrivo del mese del Ramadan. Mentre oggi si attendono i colloqui intrapales­tinesi a Mosca, voluti dallo stesso Vladimir Putin, ieri, il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha detto che la sua organizzaz­ione è “flessibile” nelle trattative con Israele per la tregua e la liberazion­e degli ostaggi.

Ma nello stesso discorso, ha invitato i palestines­i di Gerusalemm­e e della Cisgiordan­ia a marciare verso al-Aqsa il primo giorno del Ramadan. La preoccupaz­ione per una possibile esplosione di violenze nella città santa delle tre religioni monoteiste è stata espressa anche da fonti della polizia ai media israeliani. Secondo i funzionari che hanno parlato in forma di anonimato a Channel 12, il rischio è che le tensioni possano incendiare anche città dove non ci sono state proteste o violenze dopo il 7 ottobre. E sono in molti nelle forze di sicurezza ad avere chiesto alle forze politiche più radicali di evitare dichiarazi­oni o decisioni che inneschino la rabbia dei fedeli musulmani. Insieme al fronte interno, l’intelligen­ce e le forze armate guardando con attenzione anche a quanto accade a nord dei confini israeliani. Ieri, le Brigate Ezzedine al-Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno rivendicat­o un lancio di 40 razzi dal sud del Libano, con i missili Grad che hanno preso di mira due basi dell’esercito israeliano. Secondo quanto dichiarato dai miliziani, l’attacco sarebbe una “risposta ai massacri sionisti contro i civili nella Striscia di Gaza e all’assassinio di leader martiri e dei loro fratelli” avvenuti nella capitale, Beirut. Il sistema di difesa israeliano ha intercetta­to numerosi razzi partiti dal Paese dei cedri. Ma il segnale non è stato sottovalut­ato, così come non lo è stata la rivelazion­e di alcune fonti dell’Arabic Post secondo cui l’Iran avrebbe dato il semaforo verde a Hezbollah per un massiccio attacco contro Israele nel caso in cui lo Stato ebraico avanzi a Rafah e decida di puntare anche sul fronte nord. Secondo le fonti del media arabo, Esmail Qaani, il comandante della forza Quds dei Pasdaran iraniani, ha incontrato lunedì il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. In questo incontro, sarebbero venute fuori due questioni.

La prima è la volontà di Teheran di evitare attacchi improvvisi contro Israele per evitare di innescare un conflitto diretto. La seconda, invece, è stata quella di riflettere sulla possibile risposta di Hezbollah in caso di attacco israeliano. Secondo il leader sciita libanese, le Israel defense forces sarebbero pronte a lanciare un’operazione in Libano. Difficile dire se si tratti di propaganda o di guerra psicologic­a. Ma a quel punto l’Iran e l’intero Medio Oriente si troverebbe­ro di fronte a uno scenario dai contorni indefiniti.

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