Il Riformista (Italy)

Sul tavolo dell’OMC opportunit­à e insidie

Cambiare le regole per trovare nuove soluzioni che garantisca­no la stabilità dei mercati e l’equità nelle relazioni commercial­i internazio­nali: questa è la sfida, ma qui non si vede che una pallida ombra

- Gennaro Migliore

Mai dire che la cabala sia uno scherzo dei creduloni. Uno dei pilastri della globalizza­zione sta scricchiol­ando proprio al compiersi della sua 13esima conferenza ministeria­le. Il futuro del commercio mondiale sta per affrontare un punto di svolta. Le politiche nazionalis­te stanno facendo tornare le lancette indietro di decenni: un mondo senza regole per competitor sempre più aggressivi. Del resto, sono assai modeste le aspirazion­i emerse da parte dei 164 paesi aderenti all’Organizzaz­ione mondiale del commercio (OMC), che si stanno riunendo fino al 29 febbraio ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Ma, soprattutt­o, sembrano inconsapev­oli, se non addirittur­a in contrasto, con le sostanzial­i trasformaz­ioni in atto nel panorama del commercio internazio­nale. Se l’adesione di Timor-Leste è la più importante novità e l’agenda su cui trovare un’intesa si propone di pervenire a un accordo di portata limitata, riguardant­e il divieto delle sovvenzion­i per la pesca, le questioni relative all’e-commerce e le strategie per garantire (si noti l’enfasi a dispetto della realtà) la sicurezza alimentare dei singoli paesi, si può vedere a occhio nudo quali siano i limiti che la stessa organizzaz­ione si è auto imposta. Inoltre l’accordo su una qualsiasi di queste questioni potrebbe non essere sufficient­e per salvare un’istituzion­e globale che è sempre più lacerata dagli obiettivi contrastan­ti dei suoi membri: dalla frammentaz­ione economica alimentata dalla guerra della Russia in Ucraina, alla ritirata della leadership americana dalla regolament­azione del commercio globale, per non dire della crisi in Medio Oriente e le minacce nel Mar Rosso. L’atto unilateral­e degli Stati Uniti di ostacolare il funzioname­nto dell’organo d’appello dell’OMC, fondamenta­le per la risoluzion­e delle controvers­ie commercial­i, ha generato un vuoto normativo nel contesto multilater­ale. Tale decisione, inizialmen­te promossa da Donald Trump e confermata da Joe Biden, ha innescato un periodo di incertezza che minaccia di compromett­ere l’equilibrio delle relazioni commercial­i internazio­nali. La questione più rilevante riguarda senza dubbio gli Stati Uniti, che furono i principali fautori dell’ingresso della Cina nell’OMC ventidue anni or sono. Da allora, la Cina non si è conformata agli indirizzi della OMC, anzi ha sistematic­amente usato le convenzion­i internazio­nali per rafforzare il proprio potere economico, mantenendo salda l’impostazio­ne di economia di Stato. Nello stesso tempo è aumentato il deficit commercial­e degli USA, anche durante il mandato di Trump, che promette, nel caso di vittoria, di introdurre un ulteriore dazio del 10% sulle merci provenient­i dall’estero, causando inevitabil­mente terribili ritorsioni. Cambiare le regole per trovare nuove soluzioni che garantisca­no la stabilità dei mercati e l’equità nelle relazioni commercial­i internazio­nali: questa è la sfida, ma qui non si vede che una pallida ombra, al massimo in qualche conversazi­one privata. Al momento, anche programmi di indubbio interesse, come l’IRA (Inflation Rediction Act) sono contro la logica del contrasto agli aiuti di Stato stabilita dall’OMC. Per questo, non si può cadere nella trappola di far finta che le regole esistenti siano ancora valide o pensare che, in ossequio a queste, si rinunci a vedere quello che succede realmente nel mondo, dalla Cina in giù. Non è forse necessario, come ha detto recentemen­te Mario Draghi, che anche l’Europa si attrezzi per una gigantesca politica di investimen­ti pubblici, ameno 500 miliardi di euro, “a qualunque costo”? Con buona pace degli anarcocapi­talisti di tutte le latitudini! L’UE è fondata sui principi del multilater­alismo e rischia di subire uno shock ancora più duro in assenza di un nuovo ed efficace quadro normativo. Ma l’Unione Europea è ancora impreparat­a di fronte a tali sviluppi: siamo nell’angusta situazione di dover bilanciare la necessità di difendere i nostri interessi con il rispetto delle norme internazio­nali e degli accordi commercial­i in vigore. Così, mentre Bruxelles adotta misure quali iniziative antidumpin­g e l’implementa­zione di una tassa sul carbonio, siamo ancora di fronte a una incapacità di garantire l’unità d’intenti tra gli Stati membri e di tutelare il sistema produttivo, soprattutt­o di fronte alle crescenti pressioni esercitate dalla Cina. Tra l’abbandono delle regole internazio­nali del commercio, in salsa sovranista e populista, e la cieca assunzione dell’attuale sistema, basato sul contrasto assoluto all’intervento pubblico, è importante che si imponga una terza via. Ma per farlo, alle nostre latitudini, è necessario avere in campo un nuovo soggetto, capace di sedersi con diverso peso e autorevole­zza ai tavoli che contano: questo soggetto non può che essere quello degli Stati Uniti d’Europa.

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