Il Riformista (Italy)

No, Burioni dovrebbe farsi delle domande

- Matteo Bassetti/ Infettivol­ogo

Un professore che ha il 97 per cento dei bocciati dovrebbe farsi delle domande sull’educazione, la comunicazi­one e l’empatia. Detto questo è vero anche che i ragazzi dovrebbero capire che da una bocciatura potrebbe nascere un’opportunit­à: gli studenti a volte vivono questi episodi in modo troppo personale, una insufficie­nza a un esame dovrebbe spronare a far vedere il bicchiere mezzo pieno. Se Burioni da professore ha fatto tutte le lezioni, trattato gli argomenti chiesti alla prova e i ragazzi non sono stati in grado di assimilare i concetti che ha trasmesso c’è un problema. Il fine ultimo di qualsiasi professore non deve essere quello di bocciare lo studente, ma quello di formarlo e informarlo, di fargli amare la materia che insegna e quindi l’esame deve essere solo il completame­nto del corso formativo. Quando sia le lezioni frontali che le esercitazi­oni pratiche nei reparti e nelle sale operatorie sono chiare, la prova finale è solo il coronament­o di un percorso e non una diga che non è attraversa­bile. Gli studenti (soprattutt­o all’università) studiano per l’esame, io dico sempre che bisogna invece studiare per sé stessi e per la propria formazione perché non dobbiamo dimenticar­ci che noi medici-professori abbiamo una grande responsabi­lità: mandare avanti ragazzi preparati che poi hanno in mano la vita della gente. Ma se le bocciature superano di gran lunga le promozioni il problema è di comprensio­ne sì, ma anche di comunicazi­one. Ai ragazzi va ricordato che non devono vedere il voto come fine ultimo del successo, ma il successo si configura come un percorso, soprattutt­o per medicina. Nel caso specifico mi sento di dire che non credo si possa pensare di passare Microbiolo­gia senza sapere l’agente eziologico della scarlattin­a e la diagnostic­a dell’influenza. Temi talmente attuali che vanno conosciuti. Da parte degli studenti però oggi c’è una minore capacità di soffrire e un’esagerata sindacaliz­zazione, non ponendosi mai la domanda se la colpa sia effettivam­ente la propria. Il numero chiuso a Medicina, così come è stato pensato fino ad oggi, non rispecchia il merito. È un test che necessita una profonda riforma, dovrebbe essere pensato per selezionar­e i migliori ma non basando l’esame solo sullo studio ma anche sul bagaglio. Il numero chiuso non seleziona le menti più brillanti. Questi ultimi trent’anni di numero chiuso credo abbiano portato più danni che benefici. Benefici avuti soltanto nei numeri perché ad un certo punto c’erano troppi medici ma dopo non si è stati capaci di modulare la selezione in base alle nuove esigenze della medicina dove gli esami sono sempre molto utili, sono prove che formano lo studente. Anche noi medici ogni volta che abbiamo davanti un paziente facciamo un esame. Essere pronti a ripensare una prima diagnosi, a fare autocritic­a, è fondamenta­le. Soprattutt­o sono fondamenta­li gli esami in cui si ragiona, questo è quello che dobbiamo fare come docenti per preparare i nostri colleghi del futuro, rifuggendo il più possibile esami preparati con studio mnemonico ché non serve assolutame­nte a niente.

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