Roma, Milano e Napoli Taxi latitanti in 1 caso su 2
L’Antitrust segnala lo scandalo e striglia i Comuni: «Adeguare strutturalmente il numero delle licenze»
Scrivo questo pezzo da un Bolt che, chiamato con l’app, è arrivato in un minuto dall’aeroporto di Bucarest e mi ha portato in centro città in 25 minuti. Come avviene in tutte le capitali d’Europa. Tranne in Italia.
Nei mesi di luglio e agosto 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, avvalendosi della collaborazione del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato richieste di dati e informazioni ai Comuni di Roma, Milano e Napoli, al fine di valutare lo stato del servizio di trasporto pubblico non di linea mediante taxi. L’analisi dei dati e delle informazioni ricevute ha messo in evidenza una strutturale e crescente inadeguatezza dell’offerta di servizi taxi rispetto alla domanda. L’Autorità ha ritenuto pertanto di segnalare tale situazione e sollecitare i Comuni interessati ad intervenire al fine di adeguare strutturalmente il numero delle licenze taxi, anche spingendosi oltre il 20 per cento consentito dalla procedura straordinaria prevista dal Governo Meloni nel decreto-legge
Asset. Quello che secondo il Ministro Urso doveva risolvere la questione taxi (e che invece non ha risolto nulla). Ora il ministro scarica la colpa ai sindaci. Ma Beppe Sala, che lo ha esercitato, si è visto impugnare la delibera al Tar dai tassisti. E Gualtieri invece ha preferito ricorrere alla vecchia normativa, per non perdere il 20 per cento di ‘diritti’ sulle nuove licenze come previsto dall’ultimo decreto.
Le chiamate inevase, cioè quelle di cittadini che telefonano per avere un taxi ma non lo trovano, a Milano sono 500 mila al mese, con punte del 40% sul totale delle richieste. A Roma sono 1.3 milioni al mese, il 44% del totale.
Nel Comune di Roma, le licenze più recenti sono state emesse con due distinti bandi pubblicati ambedue nel 2005 per 300 e 150 licenze (il cui numero è stato poi aumentato, rispettivamente, di ulteriori 1.000 e 500 unità). Per quanto riguarda il Comune di Milano, le licenze più recenti sono state emesse con due bandi di concorso, uno pubblicato tra il 1980 e il 1981 (il numero di nuove licenze emesse non è disponibile), e l’altro pubblicato nel 2003 (303 nuove licenze). Tolto il 20 per cento che resta al Comune, il guadagno delle nuove licenze va diviso tra tutti i tassisti della città che prendono una percentuale per ogni nuova licenza venduta. Una sorta di bagarinaggio legalizzato. Un ostacolo alla concorrenza che esiste solo in Italia. L’antitrust ha anche indicato alcune possibili soluzioni: la regolamentazione delle doppie guide, l’implementazione del taxi sharing e l’efficientamento dei turni per renderli più flessibili. Da ultimo “un monitoraggio, attivo ed efficace, sull’adeguatezza dell’offerta del servizio taxi e sull’effettiva prestazione del servizio stesso, adottando adeguati meccanismi di controllo, i cui esiti dovranno essere adeguatamente pubblicizzati”.
Nulla di tutto questo è stato fatto. Con governo e sindaci che giocano a scarica barile, tesi più a difendere i privilegi acquisiti di una corporazione che i diritti di migliaia di cittadini e turisti. Di fatto rallentando l’economia del Paese. E come se non bastasse Salvini per difendere i tassisti sta anche riducendo gli Ncc.